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Premierato e autonomia differenziata: un’Italia a democrazia limitata

di Mariateresa Fragomeni, dirigente nazionale PD e Sindaco di Siderno (RC)

Con l’approvazione del Ddl Meloni-Casellati sulla riforma costituzionale del cosiddetto “premierato” avremo un’Italia a democrazia limitata. Non è una provocazione, la mia, ma un’amara constatazione che è conseguenza della volontà politica di un Governo di destra che appare inserito nel solco di un percorso partito un paio di decenni fa con la diffusione del morbo dell’antipolitica, proseguito con la personalizzazione dei partiti sui cui simboli compare il nome del leader, e culminato con la riduzione del numero dei parlamentari, quest’ultima in ossequio a presunte logiche ragionieristiche di contenimento dei costi e che in realtà, in uno con le leggi elettorali che hanno abolito le preferenze, hanno ridotto la capacità dei cittadini di decidere. Con gli elettori ormai diseducati dalla vulgata delle fake news diffuse dai social network che si vedono erodere gli spazi di democrazia rappresentativa, perdono la voglia di andare a votare e, con una buona dose di rassegnazione, si limitano a fare il tifo (e ad affidare le sorti della propria comunità) a chi “buca il video” o diffonde il miglior “reel” sui social.

Diventare sempre meno cittadini e comportarsi sempre più da sudditi è un rischio più che reale.

E una società sana ha il diritto e il dovere di combattere ogni tentativo di accentrare sempre di più il potere sulla figura del Capo del Governo, futuro “sovrano” di uno stato nominalmente repubblicano, nel quale un Parlamento sempre meno rappresentativo e spogliato di competenze (con la contemporanea prossima entrata in vigore dell’autonomia differenziata), diventa una sorta di dependance del Governo, articolazione secondaria dell’esecutivo, anche grazie al premio di maggioranza del 55% a chi vince le elezioni, parte integrante del testo della riforma.

I Padri Costituenti ci hanno consegnato un Parlamento eletto col sistema proporzionale, quello che garantisce la rappresentatività di un panorama politico plurale come quello italiano. Una scelta in chiara controtendenza rispetto a quanto avvenuto nel Ventennio precedente, in cui il parlamento è stato prima depotenziato e poi svuotato a suon di violenze e soprusi per conferire i famigerati “pieni poteri” al Capo del Governo. Un’espressione, quest’ultima che abbiamo risentito ad agosto del 2019 a margine di una festa danzante nella riviera romagnola. Quella che sembrava una sortita infelice del leader della Lega Salvini, magari frutto di qualche cocktail di troppo, ora sembra prendere corpo in un disegno di legge cha va in quella direzione.

Già, perché in nome di principi che poco hanno a che vedere con le tradizioni democratiche della nostra nazione, si va a erodere sempre di più gli spazi di rappresentatività, premiando chi, complici l’astensionismo e il premio di maggioranza, governa col voto di una minoranza del corpo elettorale.

Ridurre la complessità del quadro politico e sociale italiano a una sfida tra leader (che, come nel caso della Meloni rifuggono qualsiasi tipo di confronto, dalle conferenze stampa più partecipate ai “faccia a faccia” televisivi) rende sempre più sterile la volontà popolare, concetto sul quale – paradossalmente – fa leva, con una buona dose di propaganda a buon mercato, chi sostiene il Ddl Meloni-Casellati, legittimando l’elezione di un premier forte proprio con la sua elezione diretta.

La volontà popolare, semmai, viene espressa in maniera corretta e fedele con una forma di governo parlamentare e in cui la partecipazione diretta dei cittadini all’interno dei partiti è fondamentale per garantire la democrazia. Votare un premier forte e privo dei necessari contrappesi istituzionali significa delegare tutto a un uomo solo al comando, decidendo di abdicare dal ruolo di cittadini a favore di una naturale (e inconsapevole?) condizione di sostanziale sudditanza che è un rischio che vogliamo scongiurare, attraverso una sacrosanta battaglia politica ma anche mediante il ricorso a un referendum abrogativo. Dal quale, magari, far ripartire una ritrovata consapevolezza del ruolo dei cittadini in una società democratica, preludio del ritorno alla partecipazione attiva e naturale anticorpo verso ogni deriva tale da ridurne spazi e contenuti.