Cerca
Close this search box.

I diritti e i silenzi del legislatore

di Angelo Schillaci

Il 18 marzo 2024, nella consueta relazione annuale, il Presidente della Corte costituzionale Augusto Barbera ha manifestato “rammarico” per la mancata osservanza – da parte del Parlamento – dei moniti ad esso formulati dalla stessa Corte in materia di diritti individuali. Non è la prima volta che un Presidente della Corte interviene sul delicato profilo della collaborazione tra Corte e Parlamento nell’individuazione dei più adeguati percorsi di riconoscimento di pari dignità sociale e diritti: analoghi interventi si ricordano da parte dei Presidenti Amato e Sciarra. Il Presidente Barbera ha fatto riferimento a due casi specifici, auspicando un intervento del legislatore che dia chiara attuazione alla sentenza n. 242/19 in materia di fine vita e un intervento “che tenga conto del monito relativo alla condizione anagrafica dei figli di coppie dello stesso sesso” formulato nelle sentenze nn. 32 e 33 del 2021. L’auspicio è dettato dalla consapevolezza che il silenzio del legislatore non fa venire meno l’urgenza di un intervento e che, nel frattempo, le domande di riconoscimento e giustizia trovano risposte – inevitabilmente frammentarie – altrove. E così, nel caso del fine vita, si registra il tentativo di alcuni consigli regionali di dare attuazione – per quanto di propria competenza (e, dunque, soprattutto sul piano dell’organizzazione dei servizi sanitari) – alla pronuncia in materia di accesso alla morte volontaria medicalmente assistita; mentre, nel caso del riconoscimento delle famiglie omogenitoriali, il generoso slancio di tante sindache e sindaci – che procedono alle registrazioni anagrafiche – si scontrano con una consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione che ritiene tali registrazioni illegittime.

Quello del rapporto tra Corti e legislatori è un tema complesso e delicato. Da un lato, affidare la tutela dei diritti a decisioni maggioritarie del Parlamento comporta rischi notevoli – specie quando a farne le spese siano istanze minoritarie (o rese tali dall’arbitrio delle maggioranze) – che devono essere sapientemente sorvegliati dall’opera riequilibratrice delle Corti: le Costituzioni sono scritte soprattutto per questo e, “per quanto divisivo, un diritto non può essere lasciato alla mercé del popolo” (così i giudici dissenzienti dalla maggioranza, nella sentenza Dobbs della Corte Suprema degli Stati Uniti in materia di aborto). D’altro canto, esiste una specifica responsabilità della politica, che è quella di articolare e gestire le domande di riconoscimento che maturano in società pluralistiche complesse, preservandole da rischi di frammentazione e – ma questo, allo stato, non è che un auspicio – dalla polarizzazione ideologica.

Su entrambi i temi evocati dal Presidente Barbera esistono, peraltro, proposte di legge depositate in Parlamento dal Partito Democratico. Per il fine vita, penso alla proposta depositata in Senato da Alfredo Bazoli (S. 104), la quale riprende il lavoro che, nella scorsa legislatura, portò all’approvazione di un testo alla Camera (il cui esame non venne concluso dal Senato). Sulla pari dignità familiare e sulla tutela delle bambine e dei bambini con genitori dello stesso sesso esiste un disegno di legge – elaborato dalle associazioni Famiglie Arcobaleno e Rete Lenford – e fatto proprio, per il Partito Democratico, da Alessandro Zan alla Camera (C. 479) e da Cecilia D’Elia al Senato (S. 1069) e sottoscritti da gran parte dei componenti dei gruppi. Accanto a questo disegno di legge – depositato anche da esponenti di AVS – vi sono ulteriori testi, presentati sia da esponenti del Partito Democratico che da altri gruppi di opposizione i quali, con diverse soluzioni, cercano di dare una risposta al monito della Corte. Nessuna iniziativa, invece, dai gruppi di maggioranza la cui azione continua a essere diretta, piuttosto, a restringere – ove non a cancellare – spazi di libertà faticosamente raggiunti così come a estendere oltre misura l’intervento del diritto penale su delicate sfere di libertà e autodeterminazione individuale (ad esempio, in materia procreativa, con la proposta approvata dalla Camera in materia di punibilità del ricorso alla surrogazione di maternità pure se avvenuto all’estero, in paesi in cui la gestazione per altri è consentita e regolamentata). Il tema, a livello parlamentare, è stato quindi posto: quel che difetta, ancora una volta, è la capacità di avviare un equilibrato confronto nel merito, scevro da strumentalizzazioni ideologiche e orientato alla concretezza delle esperienze.

Nel rammarico del Presidente Barbera, allora, c’è senza dubbio la ricerca di un equilibrio – per quanto dinamico – nei rapporti tra Corte e Parlamento. Lasciando le soglie del palazzo della Consulta, però, quel rammarico non può che riguardare più in generale la preoccupazione per la difficoltà crescente del processo politico di superare i suoi silenzi e, quindi, per la crisi della sua capacità integrativa. Proprio il tema dei diritti è, in questo senso, emblematico: in questa materia, infatti, vite e corpi sono troppo spesso ostaggio di pregiudizi e strumentalizzazioni ideologiche, che fanno perdere di vista – alla politica – la loro specifica (pari) dignità assieme all’urgenza di riconoscere e dare tutela. Vale per il fine vita e vale per i diritti delle bambine e dei bambini con genitori dello stesso sesso: il silenzio non può essere una risposta.