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Ripensare il lavoro per salvare l’Italia

di Andrea Belegni

L’Italia, per costituzione è una Repubblica fondata sul lavoro, mezzo con il quale elevare le qualità delle persone e promuovere la dignità umana, in ogni sua forma. Ad oggi, forse da sempre, questa premessa fondamentale che rappresenta la base fondante del sistema democratico, è stata tradita. Si è perso di vista il valore sistemico che il lavoro rappresenta. Oggi, la precarizzazione, la mancata dignità salariale e l’impossibilità di garantire congrui tempi di vita-lavoro stanno generando nelle nuove generazioni, ma non solo, una sempre più crescente paura del futuro.

Per comprendere il valore sistemico, e democratico, del lavoro basti pensare a quanto questa situazione di instabilità e incertezza impatti su un tema fondamentale come quello della demografia. Pensare si possa risolvere questo grande problema senza riconsiderare il lavoro come una delle implicazioni principali, è pura follia. Pensare di poter tornare a crescere, riducendo le disuguaglianze e garantendo una serenità psico-fisica, oltre che economica e sociale, senza proporre una sana riforma del lavoro, è pura illusione.

Senza esagerare o fare voli pindarici, basterebbe riflettere e proporre un radicale ripensamento del mondo del lavoro, in quanto motore dell’economia e benessere sociale, attraverso tre punti fondamentali: riduzione della precarietà, rispetto dei tempi vita-lavoro e salario dignitoso. Ripensare il lavoro tenendo fermi questi tre punti potrebbe effettivamente portare ad un miglioramento della condizione generale, in particolare delle giovani generazioni che non stanno trovando nell’oggi e soprattutto nel domani, quelle certezze necessarie per costruire una famiglia, una comunità, la propria vita. Una vita che sia dignitosa e meritosa di essere vissuta.

Per quanto riguarda la riduzione della precarietà basta citare l’operazione effettuata dal governo spagnolo attraverso una riforma del lavoro che ha portato ad una decisa messa in discussione dei principi neoliberisti. Durante il periodo tra gennaio e novembre 2022, i contratti a tempo indeterminato hanno registrato un aumento del 238,4%. Nel frattempo, il tasso di disoccupazione tra i giovani under 25 anni, che aveva raggiunto picchi del 55% dopo il 2008, è sceso al 31%. Questo è stato accompagnato da un aumento del 142% nel numero di posti di lavoro stabili nell’arco degli undici mesi, offrendo finalmente opportunità concrete a questa fascia d’età. A partire da gennaio, quando è entrata in vigore la riforma del lavoro, i contratti a termine sono diventati possibili solo in due circostanze specifiche che richiedono entrambe assunzioni temporanee: durante un aumento occasionale della produzione o per sostituire temporaneamente un lavoratore. Ridurre la precarietà rappresenta il passaggio chiave per contrastare l’ansia generata dall’incertezza del domani e l’elemento chiave su ridare alle persone la possibilità di costruire una comunità, in tutte le sue accezioni.

Il ripensamento dei tempi vita-lavoro rappresenta invece una necessità oggi esplicita. In Italia, secondo l’ultimo rapporto del Censis il 67% degli occupati desidera una riduzione dell’orario di lavoro. Questo dato evidenzia un crescente disagio nei confronti delle politiche occupazionali italiane, che pongono il paese tra quelli con un carico lavorativo superiore alla media europea di 3 ore e addirittura di 6 rispetto alla Germania. I numeri del Censis non risultano sorprendenti e riflettono un interesse crescente, per l’adozione di modelli occupazionali alternativi, come ad esempio la settimana lavorativa di 4 giorni mantenendo lo stesso stipendio. Alcune aziende, tra cui EssilorLuxottica, Lamborghini e Banca Intesa Sanpaolo, hanno condotto esperimenti in questo senso, dimostrando che la riduzione dell’orario di lavoro non solo non danneggia l’economia, ma migliora la produttività e soprattutto il benessere dei dipendenti, come evidenziato dai risultati ottenuti sia nel Regno Unito che in Italia. Impossibile non evidenziare come questo aspetto potrebbe impattare positivamente anche sul divario occupazionale di genere, andando a trasformare il “famiglia o carriera”, con “famiglia e carriera”.

Infine, il salario dignitoso. L’inserimento del salario minimo è stata una delle più importanti battaglie politiche di questa opposizione, ha permesso di unire un fronte ampio e soprattutto di accogliere un ampio consenso popolare. Garantire una vita dignitosa deve essere una delle priorità della Politica, farlo senza rendere dignitoso il lavoro è impossibile. Non si può pensare di ridurre il drammatico calo demografico senza garantire la possibilità alle nuove generazioni di avere una sicurezza economica, di poter godere della soddisfazione di un compenso equo alle proprie attività e la disponibilità economica necessaria a soddisfare le numerose spese che una famiglia richiede. Ridare il senso di dignità al lavoro sono certo potrà aiutarci a ritrovare il senso di solidarietà, di partecipazione attiva nella comunità e di elemento determinante per garantire un sistema stabile di democrazia.

Attraverso questi tre aspetti, si può pensare ad un mondo del lavoro che guardi alle persone non solo come lavoratori ma come esseri umani e messi in condizione di realizzare sé stessi e l’intera comunità. Abbiamo bisogno di coraggio, di una riforma del lavoro che guardi alla costituzione italiana e che permetta di rimettere al centro non solo il presente e il futuro delle nuove generazioni, ma dell’Italia (e soprattutto dell’Europa) intera.