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Una “patrimoniale” sulle altissime rendite e gli altissimi patrimoni per riequilibrare la bilancia della giustizia sociale

di Roberto Morassut

Come può uno Stato democratico reggere per decenni il peso di un’evasione fiscale pari a 100 miliardi l’anno, intrecciata e in alcuni casi sommata ad una dispersione di altrettanti miliardi per corruzione?

Questa è la patologia congenita dell’Italia alla quale si è sommata in questi ultimi anni una patologia acquisita dalle tendenze della globalizzazione e del mercato mondiale, aggravata dalla pandemia.

Non c’è bisogno di citare troppo nel dettaglio gli studi e le ricerche di importanti organismi internazionali – pubblicati ancora in questi giorni – per riconoscere che la ricchezza nei paesi OCSE si è sempre più concentrata in poche mani che grondano oro.

Dal 1980 in poi l’aliquota media sui redditi societari nei paesi OCSE si è ridotta di oltre la metà, passando dal 48% al 23%, cosi come si è notevolmente ridotto il prelievo sugli utili distribuiti agli azionisti e sulle plusvalenze, mentre il potere di acquisto dei lavoratori è contestualmente sceso, ampliando il campo del lavoro nero e sottopagato.

Dire che gli Stati sono diventati dei “comitati d’affari” delle borghesie nazionali e che vi è stata una rivincita trionfante del profitto sul salario rischia di apparire preistorico ma non si va molto lontano dal vero, purtroppo.

Quanto meno si deve riconoscere che l’idea di ridare fiato alla crescita, all’occupazione e ad una maggiore giustizia sociale, favorendo una ripresa del capitalismo e quindi una capacità di investimenti in due tempi, non ha funzionato.

O meglio ha funzionato perfettamente il primo tempo della partita ma non il secondo.

L’Italia, all’interno di questi valori medi, occupa le posizioni più estreme verso l’aumento delle diseguaglianze.

Dal 2000 al 2023 il 10% più ricco della popolazione italiana è cresciuto del 4% – che nel quadro di grandissime entità finanziarie rappresenta un valore enorme – mentre la metà più povera della popolazione italiana ha perso il 5% della ricchezza nazionale.

Vuol dire che se il Pil italiano può essere stimato sull’ordine dei 2200 miliardi per il 2023, noi abbiamo avuto un trasferimento a favore del 10% dei ricchi italiani di almeno 90 miliardi mentre il 90% degli italiani, paradossalmente, ha perso 110 miliardi.

Per un totale di 200 miliardi in vent’anni. Circa 10 miliardi l’anno.

C’è materia di riflessione per le forze riformiste che hanno svolto ruoli di governo centrali nel corso degli anni in questione anche se non bisogna mai dimenticare che dal 2001 la destra ha governato per almeno 10 anni e che ogni volta sul tema evasione fiscale, pressione fiscale la destra ha riportato indietro quel poco o tanto che i riformisti avevano tentato di fare.

Ma se guardiamo alle cose di oggi ci viene in aiuto per una lettura di merito il giudizio che dal World Economic Forum di Davos ha dato l’ong Oxfam, uscito con ampiezza di dettagli sui giornali di questi giorni.

La riforma fiscale del Governo Meloni viene bocciata senza appello e considerata incapace di contrastare l’accelerazione che l’aumento dell’ingiustizia sociale ha avuto dopo la pandemia, vedendo raddoppiare i molto ricchi titolari di un patrimonio “miliardario” – che sono raddoppiati da 36 a 63 – e vedendo dimezzare la quota di ricchezza detenuta dal 20% più povero della popolazione passato dallo 0.51% allo 0,27%….

Ce n’è abbastanza per motivare le ragioni di chi chiede di varare una “patrimoniale” sulle altissime rendite e gli altissimi patrimoni che riequilibri la bilancia della giustizia sociale e metta a disposizione risorse per politiche di sostegno alla povertà, di finanziamento per investimento per i servizi – sanità, casa, scuola, ambiente e trasporti.

Mi tornano in mente le parole di Enrico Berlinguer in una famosa tribuna politica trasmessa poche settimane prima della sua morte, alla vigilia delle elezioni europee del 1984 : “Noi chiediamo che le grandi fortune partecipino allo sforzo per la ripresa economica e contro la crisi. Per questa via sarà meno difficile chiedere anche ai lavoratori dei sacrifici.”

Naturalmente la “patrimoniale” sulle grandissime fortune non è la panacea di ogni male.

E’ del tutto evidente che in quei 100 miliardi di evasione fiscale, ormai congeniti, che ci trasciniamo dietro ci sono almeno due terzi di evasione diffusa che riguarda il lavoro autonomo e categorie professionali che non possono essere definite “ricche” ma che si giovano del patto non scritto che agisce da sempre  nella realtà.

 Un patto sociale duro a morire e che dice: tolleranza fiscale in cambio di scarsi e inadeguati, servizi.

Un patto che non può continuare perché stritola sempre più il lavoro dipendente, alimenta la sfiducia nello Stato e la guerra tra diverse fasce del lavoro.

Qui, ancora, le parole di Berlinguer sono illuminanti.

Se non si inizia dalle grandi fortune sarà ben difficile agire in questo enorme universo sociale.

La delega che il governo ha chiesto e ottenuto dal Parlamento per la riforma fiscale va nella direzione opposta perché il livellamento delle aliquote e la cancellazione del principio costituzionale della progressività della contribuzione si trasformerà in una riduzione secca di entrate di quasi 80 miliardi in tre anni, a riforma vigente.

Quanto invece frutterebbe una “patrimoniale” sopra i 5, 5 milioni di euro?

Si calcola circa 15 miliardi di entrate.

Facciamo la metà se alziamo l’asticella ulteriormente.

Non c’è bisogno di aggiungere nulla sulle buone ragioni di una iniziativa che darebbe alla sinistra un tono e una forza che oggi non ha e che non avrebbe nessun sapore di minaccia verso i cosiddetti “ceti medi” agiati e detentori di una ricchezza medio alta.

Posso capire il terrore della destra che da sempre incanta i poveri per dare ai ricchi ma per i riformisti radicali, come dovrebbe essere il Pd, non vedo motivi di paura.