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La seconda legge di bilancio del Governo Meloni è senza visione e iniqua

Affastella interventi temporanei e frammentati e ancora una volta è impostata sul ricorso al deficit come fonte principale di finanziamento.  

Siamo arrivati a discuterla nei giorni di Natale, mentre a metà ottobre era stata presentata in pompa magna il bilancio che avrebbe aiutato le donne e le famiglie e che si sarebbe discusso celermente, senza emendamenti della maggioranza.

Perché si sa, per questa maggioranza, che pure quotidianamente rivendica di essere una maggioranza politica, il Parlamento è un ingombro, e va avanti a forza di decreti-legge.

Ancora una volta è mancata la possibilità di un confronto di merito sulle scelte strategiche che il Paese dovrebbe affrontare, perché a questo dovrebbe servire la legge di bilancio.

Tutto questo mentre il Paese frena. Perché questo dicono i dati a prenderli sul serio.

Siamo in balia di un governo senza visione, questa è la verità. Altro che made in Italy.

Non c’è nulla per le imprese e un piano di privatizzazioni di 20 miliardi.

La misura più̀ rilevante della manovra, il taglio del cuneo fiscale, pari a 10,7 miliardi, è finanziata temporaneamente in deficit. Si tratta di una proroga di un intervento già̀ adottato in passato e quindi senza un beneficio aggiuntivo rispetto alle condizioni economiche del 2023. Il Governo Meloni non è stato in grado di rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale come avevamo chiesto.

Persino su Irpef l’interventosulla rimodulazione delle aliquote e degli scaglioni si limita al solo anno 2024.

In ogni caso l’effetto combinato tra i due interventi si tradurrà̀ in pochi euro in più̀ sulle buste paga delle lavoratrici e dei lavoratori rispetto a quelle del 2023.

Non c’è strategia per una crescita sostenibile di medio-lungo termine e di misure di contrasto ai cambiamenti climatici.  Le “Misure per il potenziamento del sistema sanitario”, lungi dal comportare un reale rafforzamento del Servizio sanitario nazionale, consistono in pochi interventi parziali privi di una visione d’insieme e di un disegno lungimirante, i finanziamenti non tengono conto dell’inflazione e del rinnovo dei contratti. Il servizio sanitario nazionale è messo a rischio.

Insomma, quello che sostanzia questa manovra, anche sul tanto sbandierato tema della famiglia, sono misure spot che non intervengono a sostenere davvero le scelte di genitorialità, tanto meno la condizione delle donne. Anzi rischiano di acuire le disuguaglianze territoriali.

Siamo di fronte a una destra delle disuguaglianze territoriali, di genere e generazionali.

La manovra mostra un accanimento contro i diritti: alla salute, all’istruzione, al lavoro.

Rimane l’Italia dei privilegi.

Hanno scelto di non rafforzare l’assegno unico, di non investire su servizi educativi, di non finanziare la non autosufficienza, perché questo significa aiutare le famiglie, di non raccogliere la sfida dei congedi paritari per sostenere la condivisione del lavoro di cura nelle famiglie, come noi avevamo chiesto con i nostri emendamenti.

Le misure rivolte alle donne aggiungono qualcosa, e non in modo strutturale, a quelle che hanno avuto figli, almeno due, con buona pace delle altre che non possono farli perché le condizioni economiche non lo consentono o che non li desiderano.

Quello in bilancio sulla decontribuzione è un piccolo e non strutturale intervento per le mamme, non tutte, che lavorano e hanno due o tre figli. Una minoranza delle donne, che vivono al Centro Nord, dove già nascono più bambine e bambini e dove è già più alta la frequenza del nido.

Eppure, il nodo vero di questo Paese, che blocca anche la natalità, è il lavoro per le donne.

La priorità dovrebbe essere intervenire sulla precarietà, sull’impossibilità di conciliare scelte di maternità e lavoro. Parliamo di oltre 40.000 donne lavoratrici. Avevamo proposto un fondo per intervenire con misure di flessibilità, ma neanche questo si è potuto discutere.

Invece la legge di bilancio aumenta l’IVA su prodotti per l’infanzia e l’igiene femminile dal 5 al 10%.

Per non parlare degli interventi sulle pensioni, che restringono ulteriormente rispetto ad opzione donna la platea di chi potrà beneficiare della nuova misura, con buona pace del riconoscimento del contributo dato dalle donne al Paese.

Perché al fondo alla destra il successo di alcune, un soffitto di cristallo che si rompe, ma di dove finiscono i cocci e del destino di tutte le altre non interessa nulla. Perché quello che non interessa è l’uguaglianza.

Se si investisse in sanità almeno il 70% degli ingressi sarebbe lavoro femminile; se si investisse in nidi, il 90%, analogamente per i servizi di assistenza e di istruzione.

La destra al governo alimenta il circolo vizioso tagli – diritti negati – disoccupazione femminile – donne che sono il welfare del Paese e che sono private della possibilità di poter scegliere davvero.

Il governo ha scelto gli spot, di corto respiro, che non invertiranno nessuna tendenza economica e demografica, che nulla miglioreranno nella vita di tante ragazze e donne, disoccupate e lavoratrici, precarie e no.

Tutto è a scadenza, persino la riforma fiscale. Un Paese che non sa cosa succederà domani.

Del resto, così si va avanti sulla scuola; riforme improvvisate come la filiera tecnico professionale o il liceo made in Italy, che dovrebbero essere già pronti a gennaio per l’anno scolastico 2024725.

Una modalità improvvisata di intervenire su un settore strategico e delicato come quello dell’istruzione. Dove nulla c’è per sostenere i meritevoli anche privi di mezzi, perché il merito del governo Meloni è la selezione di chi è più forte.

Studiare è sempre più un lusso, come ci hanno spiegato anche Federconsumatori e Unione degli studenti universitari, nel report “Universitari al verde”, specialmente se lo si fa lontano dalla propria città di residenza, mediamente si spende per materiale tasse alloggio pasti trasporti 9379 annui se in sede, più di 10.000 se pendolari, più di 17.000 se fuorisede.

Questa destra ha scelto di non ascoltare i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo, di tradire la riforma dell’indennità di discontinuità. Ha scelto di non ascoltare gli studenti e le studentesse, i ragazzi delle tende che hanno sollevato per tutti il tema del caro affitti

Una manovra sorda al futuro anche su questo

E su quel poco che il Parlamento poteva emendare abbiamo sfidato la maggioranza, le abbiamo chiesto di rinunciare ai piccoli interventi, ad affrontare insieme una priorità del Paese, la violenza maschile contro le donne.

Chiedevamo uno scatto di orgoglio di un Parlamento silenziato nella possibilità di intervento.

Le opposizioni lo hanno fatto. La destra ha preferito piccoli finanziamenti localistici.

L’emendamento delle opposizioni, 20 milioni spesa corrente e 20 conto capitale, è andato a finanziare interventi che rafforzano le politiche, i percorsi di fuoriuscita dalla violenza, come il reddito di libertà e l’inserimento lavorativo delle donne che hanno subito violenza,  il sostegno alla rete dei centri antiviolenza, sempre troppo poco, la costruzione di case rifugio. E abbiamo potuto finanziare, come avevamo invano chiesto nella discussione dell’ultima legge contro la violenza approvata, la formazione delle operatrici e degli operatori della giustizia, delle forze dell’ordine della sanità, per evitare la sottovalutazione del rischio che le donne corrono, evitare la cosiddetta vittimizzazione secondaria.

Contro la violenza non ci servono solo norme, soprattutto non solo norme penali, ma politiche. La costruzione di una rete di istituzioni, centri, operatori capaci di intervenire. Per non sottovalutare mai più il rischio che una donna corre, come ancora è successo per la morte di Vanessa Ballan. Non ne possiamo più, non vogliamo che succeda mai più.

Ma la destra non è stata capace di fare con noi questa scelta. Chiusi nel cortile di casa loro, senza visione e senza futuro, una manovra delle disuguaglianze e dei privilegi.