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Voto ai fuorisede, un atto di buonsenso

di Thomas Osborn

Immaginiamo di prendere la popolazione di Roma, uniamola a quella di Milano e aggiungiamoci quella di Napoli. Avremmo così circa 5 milioni di persone. Immaginiamo ora che qualcuno dicesse a queste 5 milioni di persone che non possono più esercitare in modo libero e incondizionato il proprio diritto di voto – uno dei diritti politici fondamentali e fondativi della nostra Costituzione. Cosa succederebbe?

Ecco, questo è esattamente cosa succede ad ogni tornata elettorale a 5 milioni di nostri connazionali sparpagliati da Nord a Sud, da Est a Ovest: sono i e le fuorisede, persone che, per motivi di studio, lavoro o cura, vivono temporaneamente in un luogo (ovvero il luogo “di domicilio”) diverso da quello in cui sono formalmente residenti. Sono, secondo i dati del Ministero dei Rapporti con il Parlamento, 4,9 milioni persone, sono prevalentemente del Mezzogiorno, stanno aumentando di numero di anno in anno e sono perlopiù under40. E ad ogni tornata elettorale devono spendere soldi (dato che gli sconti Trenitalia e co. sono sempre insufficienti) e tempo per “tornare a casa” in modo da poter esercitare quello che, come dicevamo in apertura, dovrebbe essere un diritto fondamentale su cui si fonda la nostra Repubblica.

Tradotto concretamente, votare per queste persone significa spendere decine, se non centinaia, di euro, e significa rinunciare a tempo libero, chiedere ferie e permessi, saltare lezioni o persino esami universitari dato che spesso si vota in periodi di sessione (come nel settembre 2022). Per alcune categorie di lavoratori e lavoratrici è persino più complicato o inconciliabile di così: ne sono un esempio i mondi della cultura o quello dello sport, due settori in cui in molti casi periodi lontani da casa sono la prassi, ma lo sono anche tutti quei mestieri in cui prevalgono contratti precari e in cui chiedere un permesso è spesso un miraggio (a settembre 2022, per le elezioni nazionali, una ragazza che lavorava per uno stabilimento balneare è stata addirittura licenziata per aver chiesto ferie per “scendere” a votare).

Si tratta di un paradosso tutto italiano, per il quale negli anni siamo riusciti a far votare i residenti all’estero e persino gli studenti Erasmus, ma non i fuorisede, restando così l’unico paese nell’UE insieme a Malta e Cipro a non prevedere modalità di voto per chi si trova lontano dal luogo di residenza.

Per far fronte a questo problema, nel 2018 è nato il Comitato Voto dove Vivo, che in poche settimane ha raccolto l’adesione di associazioni, liste universitarie, altri comitati, Partiti, e di tanti cittadini e cittadine. Partendo dal lavoro svolto dagli On. Pini e Lodolini nella XVII Legislatura, primi ad essersi occupati del tema, all’inizio della XVIII Legislatura abbiamo elaborato una proposta di legge insieme alla On. Madia che prevedeva l’applicazione della modalità di voto per gli italiani all’estero, ovvero per corrispondenza, anche per la popolazione fuorisede. Dopo anni di lavoro parlamentare, in cui tra la mancanza di volontà politica del governo giallo-verde e boicottaggio del Ministero degli Interni la proposta era finita in fondo alle priorità politiche, grazie all’impegno del Partito Democratico si è trovata una sintesi con tutte le forze politiche intorno a una modalità differente, ma per noi altrettanto valida, del voto anticipato presidiato. A tre giorni dal voto sulla legge alla Camera, è tuttavia caduto il Governo Draghi, rendendo vano il lavoro.

Per valorizzare il lavoro parlamentare, e per riportare subito il tema in parlamento dopo una campagna elettorale in cui tutti i partiti si erano espressi sul tema, ad inizio dell’attuale legislatura abbiamo presentato una nuova proposta, a prima firma On. Madia e On. Magi alla Camera e Sen. Giorgis al Senato, che è così diventata di fatto la proposta condivisa di tutte le opposizioni. Calendarizzata subito alla Camera in quota opposizione, in sede di voto in aula a luglio 2023 è stata scavalcata da una legge delega voluta dall’attuale maggioranza, con la quale si dà mandato al Governo per risolvere la questione. Tralasciando la poca eleganza istituzionale di votarsi da soli deleghe su proposte dell’opposizione, tale delega presenta comunque non poche criticità: non precisa né le modalità di voto né le tempistiche, e prevede un impegno a fare una legge “sperimentale per le elezioni europee” tralasciando quelle nazionali e referendarie.

Da allora sono passati 7 mesi, e di voglia di esercitare tale delega anche al Senato, dove è appunto approdata la legge dopo il voto alla Camera, non vi è alcun segnale. È quindi ottima la notizia dell’incardinazione della proposta in Commissione Affari Costituzionali, avvenuta grazie al Sen. Giorgis, ma ora è altrettanto fondamentale che il Governo si impegni ad attuarla entro le europee.

Se, infatti, il Governo intende realmente andare avanti – come dichiarato in estate – con l’impianto che la propria stessa maggioranza ha deciso, allora deve impegnarsi non solo a votarla, ma anche a realizzare i decreti attuativi entro poche settimane. Questi sono infatti necessari per definire i dettagli della Legge Delega, rimasta “in bianco” dopo la bocciatura dei nostri emendamenti in cui chiedevamo tempi certi, la modalità del voto anticipato presidiato e l’approvazione entro le europee 2024.

L’alternativa resta approvare la proposta originale Voto dove Vivo a prima firma Madia Magi e Giorgis, e che gode del supporto di tutte le forze di opposizione. Questa infatti consentirebbe l’immediata entrata in vigore delle norme, e garantirebbe – finalmente – la possibilità ai 5 milioni di fuorisede di votare dove vivono, per candidati del proprio collegio di residenza e senza spendere o doversi spostare.

Un atto di buon senso, che dobbiamo ai fuorisede, ma anche alla nostra democrazia.