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Ancora una norma che mina la libera scelta delle donne. La legge 194 non si tocca

di Cecilia D’Elia

Ogni volta ci provano, e dove governano lo fanno. La tentazione è troppo forte. Siccome la legge 194 ha un grande consenso, la aggirano, la boicottano, la svuotano e ne rendono difficile l’applicazione. Ci hanno provato anche con il decreto Pnrr, e purtroppo ci sono riusciti, avendo messo il voto di fiducia, così nel testo in discussione alla Camera dei deputati hanno introdotto una norma che mina la libera scelta delle donne in tema di procreazione e aborto. Il governo dispone che le Regioni possano coinvolgere all’interno dei consultori le associazioni antiabortiste. Invece di garantire alle donne servizi, lavoro e stabilità economica il governo sceglie di attaccare la libertà di scelta e di indebolire, con l’introduzione di figure appartenenti ad associazioni senza competenze e professionalità specifiche, presidi fondamentali per la salute sessuale e riproduttiva come sono i consultori.

Mentre l’Europa approva in Parlamento la richiesta di riconoscere l’accesso all’aborto sicuro e legale come diritto fondamentalo della Carta europea, in Italia è sempre aperta la contesa per rispettare le scelte delle donne.

Il Parlamento europeo ha compiuto un passo importante che pone l’accento sul valore fondante dell’autonomia delle donne in tema di procreazione come diritto fondamentale, perché la libertà delle donne di decidere sul proprio corpo sia riconosciuta ovunque.

Questo deve valere per Paesi in cui l’aborto legale è in discussione o negato ma anche per l’Italia, dove va garantita l’applicazione della legge 194, senza impedimenti di carattere ideologico. L’Europa segue la Francia, in controtendenza rispetto a quanto avvenuto negli Usa, dove la Corte Suprema, modificata nella composizione durante la presidenza Trump, nel giugno 2022 ha ribaltato la sentenza Roe v. Wade, che per oltre 50 anni aveva garantito l’accesso all’aborto negli Usa.

Si afferma il riconoscimento di un’autonomia e dunque una libertà femminile nel campo riproduttivo che ha un rilievo costituzionale. È una sorta di “habeas corpus” delle donne: nessuno può costringerle a portare avanti una gravidanza non desiderata. Non a caso la proposta parla di diritto all’integrità della persona e all’autonomia del corpo: “ogni persona ha diritto all’accesso libero e informato, pieno e universale alla salute sessuale e riproduttiva e relativi diritti, come pure a tutti i servizi di assistenza sanitaria correlati, senza discriminazioni, compreso l’accesso a un aborto sicuro e legale”.

Ma sappiamo che questo riconoscimento non è condiviso, a 30 anni dalla Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo, che ha riconosciuto la salute riproduttiva, l’empowerment delle donne e l’uguaglianza di genere come strada verso la sostenibilità, l’autonomia riproduttiva delle donne è continuamente messa in discussione. Verrebbe da dire che è il campo di una contesa che vede le destre e gli integralismi sempre in agguato, mentre le disuguaglianze impediscono a tante donne di vede riconosciuti i propri diritti.

Succede anche da noi, succede in Europa. Il Parlamento europeo ha ricordato che a Malta abortire è reato, che la Polonia ha ulteriormente limitato l’accesso all’assistenza all’aborto legale, che l’aborto medico in Slovacchia e in Ungheria non è legale. Ed ha anche ribadito che anche in Italia l’accesso all’assistenza all’aborto sta subendo erosioni; che in paesi come il nostro, la Slovacchia e la Romania un’ampia maggioranza di medici si dichiara obiettore di coscienza, cosa che rende estremamente difficile l’accesso de facto all’assistenza all’aborto in alcune regioni. E potremmo aggiungere tutti gli ostacoli all’aborto farmacologico messi dalle regioni italiane dove governa la destra. L’emendamento al decreto Pnrr è coerente con questo disegno, contro l’autonomia delle donne e le loro scelte. In parlamento hanno messo la fiducia, togliamogliela nel Paese e portiamo nelle europee le nostre ragioni. Si decide anche su questo.