di Angelo Schillaci
Nel suo intervento al Congresso del Partito dei Socialisti Europei a Bruxelles, la Segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha richiamato l’attenzione sull’impatto dei governi di destra, in Italia e altrove, sulla tenuta della democrazia costituzionale. Si tratta di una questione delicata e importante, che richiederebbe una discussione franca e approfondita e non strumentalizzazioni occasionate dalla convenienza politica del momento.
Per questo, mi hanno colpito – tra le reazioni alle dichiarazioni di Schlein – quelle che provengono da voci e mondi non immediatamente riconducibili ai partiti che al momento governano il nostro paese. Da più parti, sulla stampa ma anche nelle “vicinanze” del PD, si è detto e scritto che la segretaria avrebbe commesso un errore, che sia incorsa in uno scivolone e che non ci sarebbero rischi per la democrazia in Italia. Altri, come Ernesto Galli della Loggia, hanno scorto nelle dichiarazioni la tendenza della sinistra a “eticizzare” la politica.
Mi pare che queste critiche non colgano – non so quanto volutamente – nel segno. Questo vale non solo per i profili generali della dichiarazione, ma anche in relazione alla denuncia dell’attentato a Sigfrido Ranucci: la Segretaria non ha infatti attribuito responsabilità, ha piuttosto sollevato il tema – più ampio – dello stato di salute della libertà di informazione e stampa nel nostro paese.
Credo sia importante cogliere le implicazioni più profonde delle parole di Schlein e collocare la crisi della democrazia in un contesto più ampio. Anzitutto, bisogna essere consapevoli del fatto che la crisi della democrazia (costituzionale) non riguarda solo l’Italia: dagli Stati Uniti all’Ungheria, le forze populiste e autoritarie stanno indebolendo le istituzioni della democrazia, mostrando una sempre più marcata insofferenza verso i dispositivi di limitazione del potere della maggioranza (che rendono una democrazia, appunto, costituzionale).
C’è poi un punto che troppo spesso rimane in ombra. Non è un caso che – nel descrivere la situazione italiana – la Segretaria abbia parlato non solo di informazione, ma anche di salute, scuola e lavoro. L’attacco alla democrazia costituzionale non avviene solo con atti eclatanti o violenti, né soltanto con interventi sull’assetto istituzionale. Si comincia, molto prima e molto più in profondità, attaccando l’infrastruttura culturale e sociale che sostiene la democrazia stessa, alimentando la coesione. Ecco perché lo svuotamento del servizio sanitario pubblico, l’impoverimento sistematico del lavoro e la mortificazione della scuola pubblica sono fattori cruciali: è così che si prosciugano, fino a reciderle, le radici della democrazia. Occupare lo spazio delle politiche sociali con una postura chiaramente ideologizzata – dallo squilibrio del rapporto tra pubblico e privato nella sanità fino alla torsione autoritaria delle politiche educative e familiari – le allontana dalle esigenze concrete di persone e famiglie. E questo incide, già nel breve e medio periodo, sulla fiducia delle persone nella politica e nelle istituzioni ma anche sulla costruzione di relazioni e sinergie nella comunità politica. Incide sulla percezione di insicurezza, con tutto quel che ne consegue in termini di fascinazione verso risposte rapide e dal piglio apparentemente deciso.
Il risultato è una frammentazione che isola le persone, ripiegandole su sé stesse, mettendole le une contro le altre e spingendole fuori dalle dinamiche della partecipazione “all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”, come recita l’articolo 3, comma 2 della Costituzione.
L’allentamento strutturale delle basi (della coesione e quindi) della democrazia si manifesta anzitutto nel calo del tasso di affluenza al voto ma anche, più in generale, nella perdita di un “mondo comune” fatto di solidarietà, partecipazione, discussione, confronto, relazioni. Ecco perché, peraltro, tra i luoghi della “resistenza” a tutto questo brillano le reti associative che scommettono invece sulla solidarietà, su pratiche di difesa dei diritti e sulla riapertura di spazi di relazione e discussione. La sfida per la politica è quella di difendere e promuovere questi luoghi: lì dove la destra intende la sussidiarietà come competizione tra pubblico e privato, la sinistra deve però rivendicare l’autonomia delle politiche pubbliche in una logica di cooperazione e corresponsabilità.
Sta a noi cogliere le implicazioni profonde di tutto questo, per immaginare un percorso di rigenerazione e riscossa. Il Partito Democratico, come forza progressista e di sinistra, ha una funzione storica precisa: trasformare la realtà e la società, riformandone le strutture più profonde con radicalità, coraggio e responsabilità. E farlo, a partire dal documento che – più di ogni altro – traccia la linea di un orizzonte di futuro, cioè la nostra Costituzione: non è un programma politico, certo, ma per il PD è un sicuro pilastro identitario. Una Costituzione che non ha cristallizzato conflitti, ma ha aperto lo spazio per la loro articolazione nelle forme della democrazia. E che ancora indica un percorso, non concluso, di emancipazione della persona e di costruzione di eguaglianza.
Sui diritti, civili e sociali insieme, sulle politiche economiche, sociali e culturali la Costituzione parla ancora del nostro futuro. Lo fa consegnandoci un assetto istituzionale fatto di poteri in equilibrio, sul quale non dobbiamo smettere di vigilare: perché la democrazia costituzionale – come democrazia del limite al potere della maggioranza – è la conseguenza sul piano organizzativo della dignità della persona, come scriveva un grande costituzionalista tedesco recentemente scomparso, Peter Häberle. Di questo dovremmo discutere, lasciando da parte le strumentalizzazioni. La posta in gioco è davvero molto alta.