La vicenda canapa rivela l’obbrobrio giuridico chiamato Decreto Sicurezza

di Stefano Vaccari, pubblicato su Huffington Post il 31 maggio 2025

Per il codice penale la cannabis light non è droga. Una vera e propria sconfessione per il governo ma anche un precedente che porterà in tribunale molti casi dopo l’antiscientifica e propagandistica scelta con l’art. 18 del decreto “Repressione” di chiudere una intera filiera produttiva che coinvolge 3mila imprese, 23mila lavoratori, con un miliardo di fatturato

La cannabis light non è droga. È il tribunale di Parma a dare la prima risposta al furore ideologico del governo e della destra che con il decreto Sicurezza (ribattezzato Repressione) hanno vietato la produzione, la commercializzazione e l’utilizzo della canapa. Dopo tre anni di inchiesta e tre anni di processo, con conseguente disastro economico per la sua azienda, è stato assolto con formula piena Luca Marola, pioniere della cannabis light e patron di EasyJoint. Per il codice penale le infiorescenze della canapa non sono assimilabili agli stupefacenti. Una vera e propria sconfessione per il governo ma anche un precedente che porterà in tribunale molti casi simili dopo l’antiscientifica e propagandistica scelta dell’esecutivo Meloni/Lollobrigida che con l’art. 18 del decreto “Repressione” ha voluto chiudere una intera filiera produttiva che coinvolge 3mila imprese dirette da giovani e 23mila lavoratori e lavoratrici, con un miliardo di fatturato. Eppure in questi mesi ci sono state molte occasioni per ragionare e cambiare strada. Sono risultati giuridicamente discutibili molti aspetti della norma sulla canapa. La destra non ha voluto ascoltare nessuno e ha preso in giro un intero comparto, raccontando che avrebbe trovato soluzioni che, pero’, non sono mai arrivate.

Il divieto sulla canapa è contenuto all’art 18 del “Decreto Paura” che introduce 14 nuovi reati e aggravanti, in molti casi in palese violazione del principio costituzionale della proporzionalita’. Ci troviamo dinnanzi a un obbrobrio giuridico dettato dalla volonta’ della destra di innalzare una bandierina ideologica con i colori della propaganda politica e dell’incivilta. Un manganello giuridico rivolto verso chi protesta contro un licenziamento ingiusto o contro politiche sbagliate riguardo i cambiamenti climatici. Voglio pero’ continuare a segnalare il clamoroso e colpevole errore che riguarda il comparto della canapa industriale: cartina al tornasole di questa folle deriva liberticida e autoritaria. Stabilire per legge che le infiorescenze di canapa sotto i limiti di legge italiane ed europee saranno, comunque, considerate come uno stupefacente e’ una decisione antiscientifica, grave e assurda. E la decisione del Tribunale di Parma conferma tutto questo. Il Governo ha scelto la strada della propaganda in un momento in cui i dazi, che l’USA di Trump vorrebbe imporre, rischiano di creare non pochi problemi al comparto agroalimentare italiano.

Il governo ha girato lo sguardo altrove di fronte al grido d’allarme di tanti imprenditori, per lo più giovani, che ora saranno costretti, in un quadro di incertezza, nonostante la prima significativa risposta di un tribunale, a chiudere le loro aziende e a licenziare migliaia di lavoratori e lavoratrici, giovani come loro. E poi la presa in giro per un intero comparto, al quale autorevoli esponenti della destra hanno raccontato di aver trovato soluzioni che, però, non sono arrivate. Quegli imprenditori purtroppo, anche ingenuamente, hanno creduto agli impegni annunciati che si sono rivelati come ghiaccio al sole; quegli imprenditori hanno rinunciato anche a manifestare in modo veemente in piazza la loro rabbia, perché convinti che deroghe o soluzioni sarebbero state trovate. 

Ora può verificarsi anche il paradosso che l’eventuale coltivazione della canapa industriale possa essere riservata solo al mercato estero, per poter poi vedere tornare la canapa trasformata nel nostro Paese. Purtroppo non siamo su “Scherzi a parte”, ma questa è la triste realtà della destra de noantri, capace solo di intervenire sulle paure e sulle angosce degli italiani, manipolando la realtà e offrendo soluzioni securitarie che nulla hanno a che vedere con i veri problemi sul tappeto.

Dal 4 aprile, imprenditori agricoli onesti sono stati catalogati come criminali, con le conseguenze sul piano penale e giudiziario che questo comporta e procedimenti infiniti nei Tribunali come avvenuto a Parma.

È assurdo chiudere una filiera produttiva emergente e giovanile, anche dal punto di vista dell’impegno imprenditoriale e dell’innovazione, che fatturava oltre un miliardo di euro e che rappresentava un’innovazione e una presenza significativa nelle nostre aree interne. Stiamo parlando, peraltro, di un prodotto che, basandosi su varietà certificate prive di effetto drogante – come ci ricordano le associazioni di settore e la scienza -, non ha creato alcun problema di salute pubblica, sicurezza stradale o ordine sociale.

Perché, allora, è stato fatto? Per dare l’idea che così si voleva garantire la sicurezza delle nostre comunità solo evocando un drammatico problema che non esiste, una narrazione falsa che copre un atteggiamento securitario che va a colpire anche altri settori legati alla vita democratica del Paese, come abbiamo visto: dalle carceri al diritto personale a manifestare le proprie idee, dal bavaglio alla magistratura al controllo delle fonti per i giornalisti. Altro che salvaguardia dei diritti, compreso quello sbandierato fin dall’inizio dalla Presidente Meloni, allorché disse solennemente che mai si sarebbe contrapposta a quanti, cittadini e imprenditori, avessero manifestato la volontà di fare e aiutare lo sviluppo del Paese.

Sulla canapa la scelta è stata ideologica, punitiva e irresponsabile che espone l’Italia al ridicolo sul piano internazionale, mina il principio di leale concorrenza, viola il diritto europeo e prepara il terreno a cause milionarie e a una probabile procedura di infrazione. In Europa ci rideranno dietro un’altra volta, come avviene già su altri temi. Altro che sovranismo e made in Italy, parole senza senso se rapportate al decreto sicurezza.

Secondo Alfonso Celotto, avvocato cassazionista e professore ordinario di diritto costituzionale, il decreto Sicurezza, perlomeno per la parte relativa alla canapa, dovrebbe avere vita breve: “Sia il giudice che l’autorità amministrativa devono disapplicare la norma se questa contrasta con il diritto comunitario”. Insomma se ti chiudono il negozio, dovresti andare dal prefetto e lui stesso dovrebbe riaprirlo immediatamente, senza giudizio, perché il provvedimento dovrebbe disapplicarlo e perché la disapplicazione della norma italiana contrastante con il diritto dell’Unione europea spetta a ogni autorità amministrativa.

Dalla piena applicabilità del decreto sicurezza il mercato nero avrà una forte impennata, da oggi a ringraziare sarà la criminalità organizzata, che non ha certo timore dei divieti per coprire il mercato che è diventato, da un giorno all’altro, illegale. Per questo è auspicabile che in Parlamento e nel Paese si continui a chiedere di tutelare imprenditori, lavoratori e migliaia di famiglie non solo per riaffermare la richiesta di abrogazione della norma ma anche per garantire i necessari ammortizzatori sociali e le risorse per la gestione delle giacenze dentro una transizione forzata. 

Insomma vi è la necessità che, dopo la sentenza del Tribunale di Parma, torni a prevalere saggezza e responsabilità.