di Pierluigi Adami
Ci sono momenti nella storia in cui il corso degli eventi accelera, muta irreversibilmente. In matematica si parla di “singolarità” per descrivere una discontinuità brusca, un passaggio repentino da uno stato a un altro del tutto differente. Forse, senza accorgercene fino in fondo, l’umanità sta entrando in una simile fase di trasformazione. Nei prossimi vent’anni – una manciata di stagioni nella lunga cronologia della Chiesa – potremmo assistere a cambiamenti talmente radicali da proiettarci in un mondo sostanzialmente diverso da quello che conosciamo. È in questo contesto che il nuovo papa dovrà esercitare la sua missione, conducendo il popolo cristiano attraverso le acque incerte del futuro.
Il nuovo pontefice si troverà a fronteggiare anche questioni interne alla Chiesa, come la crisi della vocazioni, la riduzione costante dei fedeli nei paesi occidentali, il sacerdozio femminile.
Ma le discontinuità più dirompenti riguardano fenomeni globali, questioni che coinvolgono l’intera umanità, non solo i credenti. Proprio per questo, però, è rilevante il ruolo che dovrà svolgere una importante guida spirituale come il papa.
Tra le sfide che si profilano, una delle più enigmatiche riguarda l’intelligenza artificiale. Le macchine, una volta strumenti inanimati, oggi parlano, apprendono, formulano concetti complessi. Finora, dietro le loro risposte si cela solo la potenza degli algoritmi. Ma se un giorno – e alcuni pensatori ritengono che non sia lontano – da quelle reti di neuroni artificiali dovesse emergere una coscienza, una consapevolezza di sé, allora ci troveremmo di fronte a una rivoluzione vertiginosa. Il pensiero e la coscienza, tradizionalmente considerati il soffio stesso dell’anima, potranno manifestarsi al di fuori dell’uomo? Grandi filosofi, come Cartesio e Spinoza ritenevano che il pensiero e la conoscenza fossero il tramite che lega l’uomo all’intelletto divino. Allora come risponderà la teologia a una nuova forma di intelligenza che chiederà di essere riconosciuta come esistente, come viva? È una domanda che scuote alle fondamenta la religione e che esigerà coraggio, discernimento e profondità spirituale.
Non meno urgente è la crisi climatica, affrontata con vigore da papa Francesco. L’obiettivo di contenere il riscaldamento globale a +1,5°C entro la fine del secolo, solennemente proclamato a Parigi nel 2015, è ormai una promessa tradita. Oggi siamo già a quel limite, che avremmo dovuto toccare solo nel 2100.
Il futuro si prospetta dunque più incandescente e più fragile di quanto si osasse immaginare solo pochi anni fa. Gli scienziati avevano posto una “soglia da non oltrepassare” nella concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. Quella soglia, di 450 parti per milione di molecole di gas serra, rappresenta una sorta di punto di non ritorno, oltre il quale il riscaldamento globale potrebbe diventare difficilmente reversibile.
Ebbene, i modelli climatici stimano che potremmo superare la “soglia di non ritorno” già entro il 2035 o poco oltre — verosimilmente, durante questo nuovo pontificato. Entreremo in un’era di mutamenti irreversibili. Il grido della Terra, così ben ascoltato da papa Francesco, diventerà ancora più forte. E sarà indispensabile che il suo successore abbia la forza di lanciare l’allarme in modo ancora più potente. Sarà una battaglia dura, per scongiurare gli esiti più catastrofici del riscaldamento globale. Anche se ormai abbiamo perso il treno che ci avrebbe condotto verso situazioni migliori, dobbiamo evitare di prendere quello che ci farà sprofondare negli scenari climatici più devastanti. E la voce della Chiesa potrà essere una delle poche capaci di richiamare l’umanità alla responsabilità comune, oltre i confini della politica e dell’economia.
Sullo sfondo, permane la questione della guerra. Se osserviamo gli eventi umani secondo una prospettiva storica, notiamo che l’umanità sta procedendo verso una progressiva unificazione che, a lungo termine, potrebbe portare a una riduzione dei conflitti. Basti pensare all’Italia, prima frazionata in tanti stati, spesso in guerra tra loro, e tra popolazioni divise anche per culture e dialetti. Nonostante i progressi compiuti lungo i secoli, il cammino verso la pace universale resta ancora incompleto, fragile, esposto a regressioni violente. La fine dell’economia del petrolio e la complessità della transizione ecologica, l’instabilità delle trasformazioni geopolitiche, l’angoscia per le risorse sempre più contese potrebbero alimentare nuovi conflitti. Eppure, anche nei luoghi da cui ci si aspetterebbe solo resistenza – come le monarchie del Golfo – si intravedono tentativi di mutamento, segnali di rinnovamento. Il nuovo papa dovrà essere anche artigiano di pace, capace di parlare a un mondo lacerato senza arrendersi alla logica della forza.
Sarà, inevitabilmente, un pontificato di metamorfosi. Un tempo che chiederà apertura, creatività, profonda fedeltà allo spirito più autentico del messaggio cristiano. Non per conservare il passato, ma per dare forma a ciò che ancora non esiste e che abbiamo anche difficoltà a immaginare.
Da non credente, avverto il dovere di rendere omaggio alla visione illuminata di papa Francesco, che ha saputo intuire l’urgenza di questi cambiamenti – un papa che ha affrontato i temi dell’intelligenza artificiale e della salvaguardia del Creato – e gettare semi di innovazione. Ora il testimone passa a chi saprà, si spera, guardare il futuro senza paura, diventando il punto di riferimento spirituale per miliardi di persone, una guida in un mondo che avrà sempre meno certezze e sempre più incognite da affrontare.