Intervista di Valentina Pigliautile sul Messaggero a Nicola Zingaretti
Nicola Zingaretti, capodelegazione del Pd a Bruxelles, tra qualche ora a Milano si terrà l’evento dei riformisti dem. Sulla carta un’occasione per parlare di competitività, salari, welfare e sicurezza. Nei fatti, una vera e propria corrente. Fa bene al Pd?
«Oggi abbiamo il perimetro di un’alleanza possibile e questo è un fatto positivo. L’unità è la condizione per vincere, ma non è sufficiente. Occorre una proposta di futuro, che è molto di più di un semplice programma. Dobbiamo dare alle persone una proposta di futuro che dia speranza. Per arrivare a questo obiettivo, è positivo se il Pd, a Milano e in tantissime altre occasioni mette in campo delle idee. Poi, ovviamente, bisognerà trovare una sintesi».
Una sintesi, ad esempio sulla difesa, dove si fa fatica a raggiungere l’unità…
«Io credo che anche sulla difesa ci siano dei passi avanti, ma bisogna discuterne con un obiettivo, che è quello di costruire un programma comune».
Che intende per passi avanti?
«In Europa, su questo fronte, sta iniziando una nuova fase. Avevamo ragione a chiedere un radicale cambiamento di quella impostazione e credo che ora si possa finalmente aprire il cantiere della difesa comune. Sta iniziando per fortuna, una nuova fase come dimostra il voto, della scorsa settimana, per integrare l’interoperabilità dei comandi e il sostegno alle industrie europee».
Che effetto le ha fatto vedere Giuseppe Conte in prima fila all’evento di Progetto civico, lui che doveva essere il punto di riferimento delle forze progressiste?
«Io immagino che quello che ha portato lì Conte sia curiosità e disponibilità. Curiosità a capire: ovvio che “l’alleanza nuova”, io la chiamo così, che deve mettere in campo una proposta di governo, deve immergersi nell’Italia e valorizzare le mille energie che ci sono, avendo spirito di ascolto e ossessione della sintesi. Ma per questo ci sarà tempo».
Da ex presidente di Regione, benedice questo nuovo soggetto composto perlopiù da sindaci e governatori?
«È un fatto positivo e di certo renderà più ricco il profilo dell’alleanza, che si mettano in campo idee ma nel segno dell’unità e non della divisione come nel 2018 e 2022».
Alessandro Onorato, ma anche Silvia Salis: nuove figure possono indebolire la leadership di Schlein nel caso in cui la prossima legge elettorale richieda le primarie?
«Elly Schlein è la leader del Pd, eletta con le primarie dai cittadini. Basti pensare alla situazione del settembre 2022, dove i leader del centrosinistra nemmeno si rivolgevano la parola. Se oggi parliamo di alleanza, vittorie e contenuti il merito è soprattutto della leadership di Elly Schlein che ha voluto che in ogni passaggio critico non si rinunciasse all’unità».
Una vittoria di Schlein quindi?
«È un risultato di tutti. Non c’è dubbio che chi ha dato il contributo maggiore all’unità è stato il Pd, non cedendo al vizio della polemica quotidiana. E io che ho dato l’anima mi permetto di dire che avevo ragione: il tema era quello di offrire una proposta di governo unitaria e mi fa piacere che oggi tutti lo condividano, addirittura Renzi».
Domani a Roma terrà un incontro con amministratori locali e realtà produttive per parlare delle nuove politiche di coesione. Cosa non va?
«Va cambiata radicalmente la modalità di programmazione prevista per i prossimi sette anni di bilanci europei: si prevede la costituzione di un fondo unico europeo al quale saranno i governi ad attingere, sulle basi di piani nazionali, spartendosi le risorse. Una prospettiva che svilisce l’autonomia e il ruolo di comuni e regioni».
La retromarcia è possibile?
«Noi chiediamo al Governo, in sede di Consiglio, di ristabilire i fondi europei con la loro autonomia, e di ridare piena centralità alle Regioni come autorità di gestione dei fondi».
Mercoledì il Parlamento Ue ha adottato le sue richieste per il bilancio dell’Ue nel 2026, con particolare attenzione a competitività, ricerca e difesa. Un passo in avanti?
«Io penso che ci sia una totale sottovalutazione della fase della storia che stiamo attraversando. Oggi, con la rivoluzione digitale dell’intelligenza artificiale, il baricentro si sta spostando in Cina e negli Stati uniti d’America e l’Italia è in una fase di declino, come dimostra il crollo della produzione industriale e le fabbriche chiuse e vendute. Nessun Paese al mondo ce la fa da solo. Per questo serve un bilancio europeo che non solo non tagli, ma investa su politiche comuni per recuperare questo gap. Dobbiamo evitare che l’Italia diventi il parco a tema dei ricchi del mondo, perché il turismo non può esaurire le entrate del Paese».
Il governo rivendica stabilità dei conti e crescita del rating …
«Meloni parla di una riduzione della quantità della spesa ma la legge di bilancio si basa sulla rinuncia a spendere e investire 5 miliardi di euro del Next Generation Ue, che dovevano servire a costruire ospedali di comunità e case degli studenti. Oggi si ripropone una fase di austerità in cui si rassicurano i mercati, ma non si produce sviluppo, Pil e potere d’acquisto per i cittadini».
Ma cosa è possibile farlo in termini concreti?
«Bisogna evitare di rinunciare ai soldi che abbiamo conquistato in Ue per investire. Noi abbiamo anche votato in Parlamento Ue la richiesta di una proroga di 18 mesi delle scadenze del Pnrr. Spero che il governo faccia valere questo punto di vista in sede di Consiglio».
Una proroga, al momento, sembra fuori discussione visto che servirebbe l’unanimità di tutti gli Stati membri…
«Penso che il motivo sia l’assenza di volontà politica perché non si vuole investire e creare debito sugli investimenti decisi da altri governi. Io ero segretario del Pd quando si è deciso il Next Generation Ue e il partito della premier votò contro quell’impianto»