da www.partitodemocratico.it
Quesito numero 1
Stop ai licenziamenti illegittimi
Il SÌ al referendum rende più forte il diritto a non essere licenziati senza un valido motivo, nelle imprese con più di 15 dipendenti, ampliando i casi in cui si ha diritto a essere reintegrati sul posto di lavoro.
Il SÌ al referendum abolisce infatti le norme che hanno ridotto, per le lavoratrici e i lavoratori di queste imprese, assunti dopo il 7 marzo 2015, la possibilità di potere essere reintegrati nel proprio posto di lavoro quando hanno subito un licenziamento illegittimo, sono stati cioè licenziati senza un valido motivo economico o disciplinare.
Con il SÌ al referendum le sanzioni previste per i licenziamenti illegittimi diventano le stesse per i lavoratori e le lavoratrici, indipendentemente dalla data in cui sono stati assunti. Si elimina quindi una discriminazione che non ha ragione d’essere.
In dettaglio
Col SÌ al referendum si applicherà a tutti e tutte, la disciplina dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori come modificato dalla legge Fornero (l. 92 del 2012).
Anche i 3 milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, se verranno licenziati illegittimamente, potranno essere reintegrati sul posto di lavoro, non solo come già avviene se il fatto (disciplinare o economico) per cui sono stati licenziati non sussiste, ma anche:
- in caso di licenziamento disciplinare illegittimo causato da comportamenti che i contratti o i codici disciplinari considerano punibili con una sanzione conservativa, una sanzione cioè che non mette in discussione il proseguimento del rapporto di lavoro. Si ristabilisce cioè una proporzionalità fra la colpa di cui si è responsabili e la punizione ricevuta. Ad esempio non puoi essere licenziato perché hai fumato una sigaretta in bagno;
- in caso di licenziamenti collettivi, quando il datore di lavoro non ha rispettato i criteri che secondo la legge (o i contratti collettivi) devono guidare la scelta dei lavoratori da licenziare (mansione svolta, condizione famigliare, carriera). Si riduce quindi il potere di ricatto sui lavoratori.
Senza il Sì, in tutti questi casi di licenziamento illegittimo, a questi lavoratori viene riconosciuto solo un indennizzo monetario.
Con il Sì al referendum la misura dell’indennizzo è quindi molto meno rilevante perché si allarga di molto la possibilità che al lavoratore venga riconosciuta la reintegra sul posto di lavoro. Per i casi in cui resta l’indennizzo: si riduce quello massimo ma si alza quello al di sotto del quale non si rischia di andare. Attualmente l’indennizzo varia da un minimo di 6 mesi a un massimo di 36 mesi. Passerebbe da un minimo di 12 a un massimo di 24.
Quesito numero 2
Più tutele per le lavoratrici e i lavoratori delle piccole imprese
Il SÌ al referendum rende più forte il diritto a non essere licenziati senza un valido motivo, nelle imprese fino a 15 dipendenti, rendendo possibile un indennizzo più alto.
Il SÌ al referendum abolisce infatti il limite massimo, pari a 6 mesi di retribuzione, dell’indennizzo cui hanno diritto le lavoratrici e i lavoratori di queste imprese, quando hanno subito un licenziamento illegittimo: sono stati cioè licenziati senza un valido motivo economico o disciplinare.
Con il SÌ al referendum l’ammontare dell’indennizzo è stabilito dal giudice, senza un tetto massimo, sulla base dei criteri definiti dalla legge, che tiene conto anche della capacità economica dell’impresa.
In dettaglio
I 3 milioni e 700 mila dipendenti delle piccole imprese hanno oggi diritto, in caso di licenziamento illegittimo, a un indennizzo compreso fra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità.
Col SÌ al referendum verrebbe mantenuta la soglia minima (pari a 2,5 mensilità) per l’indennizzo, che però non sarebbe più vincolato al tetto massimo delle 6 mensilità, ma potrebbe essere definito dal giudice in una misura più equa, che rimane, comunque, legata ai criteri di legge: numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’impresa, anzianità di servizio del prestatore di lavoro, comportamento e condizioni delle parti.
Due aspetti sono di particolare importanza:
- il rischio di un indennizzo meno irrisorio potrà agire da deterrente nei confronti di un licenziamento ingiustificato (come sottolineato anche dalla Corte Costituzionale);
- il giudice potrà tenere più adeguatamente conto della condizione economica dell’impresa, in quanto non è affatto detto che il basso numero di dipendenti sia indicativo di un basso potere economico, o di bassi profitti dell’impresa.
Quesito numero 3
Fermiamo il lavoro precario
Il SÌ al referendum mette uno stop all’abuso dei contratti a termine che, nel marzo del 2025, occupavano 2 milioni e 700 mila persone.
Il contratto a tempo indeterminato è il contratto centrale nel nostro ordinamento. Potere assumere a termine, anche con contratti molto brevi, dà flessibilità alle imprese ma al tempo stesso crea incertezza e precarietà nella vita delle persone. Bisogna quindi che l’assunzione temporanea sia motivata da ragioni valide (organizzative, produttive ecc.).
Il SÌ al referendum abolisce la possibilità di fare contratti di durata inferiore ai 12 mesi senza dovere fornire alcuna motivazione.
Il SÌ al referendum abolisce, per i contratti di durata compresa fra i 12 e i 24 mesi, la possibilità che le causali siano definite dalla contrattazione aziendale, più esposta al ricatto occupazionale, o addirittura dalla contrattazione personale fra datore di lavoro e lavoratore, che non hanno ovviamente lo stesso potere.
Con il SÌ al referendum il contratto a termine diventa possibile solo se risponde a una delle motivazioni individuate dalla contrattazione collettiva nazionale, siglata dai sindacati comparativamente più rappresentativi.
In dettaglio
Col SÌ al referendum si abolisce la normativa, introdotta dal governo Meloni con il decreto primo maggio 2023, che ha allargato tantissimo le maglie per il ricorso indiscriminato al lavoro a termine.
Resta in ogni caso in vigore la normativa che autorizza il contratto a termine per necessità di sostituzione di lavoratori e lavoratrici come ad esempio nel caso di maternità.
Quello che si vuole combattere è l’abuso dei contratti a termine che sono diventati, in modo particolare per i giovani, la via obbligata di ingresso al mercato del lavoro, una via però in cui restano ingabbiati per molti anni prima di potere ottenere rapporti più stabili.
Combattere l’abuso dei contratti a termine è importante anche perché l’incidenza degli incidenti sul lavoro nel caso di questi contratti è doppia rispetto al caso dei contratti a tempo indeterminato.
Quesito numero 4
Più sicurezza sul lavoro
Il SÌ al referendum amplia la responsabilità in solido (la responsabilità cioè di dovere corrispondere all’infortunato il risarcimento deciso dal giudice) dell’impresa appaltante nel caso di incidenti sul lavoro negli appalti e subappalti.
Il SÌ al referendum abolisce infatti la norma che limita la responsabilità solidale del committente ai soli rischi dovuti all’interferenza fra le attività delle imprese coinvolte nell’appalto.
Con il SÌ al referendum si assicura che chi lavora negli appalti, in caso di infortunio, abbia un risarcimento certo e integrale, anche nel caso in cui l’appaltatore non paga, ad esempio perché fallisce o non ha abbastanza capacità economica.
Con il SÌ al referendum si favorisce inoltre un controllo complessivo, da parte del Committente sulla scelta di appaltatori idonei, e lo si spinge ad evitare quella frammentazione eccessiva del ciclo produttivo che, come hanno dimostrato molte delle stragi sul lavoro degli ultimi anni, accresce il livello di rischio sul lavoro.
In dettaglio
Nella normativa attuale il committente non ha alcuna responsabilità per quelli che sono definiti rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici, che interessano però aspetti fondamentali della sicurezza dei lavoratori.
Il ricorso alla catena degli appalti e dei subappalti a cascata, resa possibile dalle scelte del governo Meloni, indebolisce le tutele (oltre che i salari) dei lavoratori e delle lavoratrici, esponendoli a rischi rilevanti per la loro sicurezza.
Quando il giudice stabilisce l’obbligo di risarcire l’infortunato per un ammontare superiore a quello riconosciuto dall’Inps, ad esempio perché l’infortunio è conseguenza di un comportamento illecito dell’imprenditore, succede che l’impresa responsabile non faccia fronte.
Col SÌ al referendum il committente è chiamato in questi casi a farsi carico direttamente del risarcimento economico a cui ha diritto il lavoratore o la lavoratrice dipendente dall’impresa appaltante.
Quesito numero 5
Sì per riconoscere le figlie e i figli d’Italia
Il Sì al referendum segna il primo passo per migliorare la legge del 1992, che in Italia regola l’acquisizione della cittadinanza italiana. Nello specifico interviene su uno dei requisiti necessari per presentare la domanda di cittadinanza, dimezzando, da 10 a 5, gli anni di residenza continuativa in Italia necessari. Tutti gli altri requisiti (reddito stabile, conoscenza della lingua, non aver commesso reati, aver pagato le tasse) restano invariati.
Un quesito tanto semplice quanto impattante sulla vita di oltre due milioni di persone che potrebbero accedere allo status di cittadini e cittadine dopo tanti anni di lavoro, studio e residenza ininterrotta in Italia.
Una misura che sottrarrebbe centinaia di migliaia di famiglie all’odioso purgatorio cui sono sottoposte, legato a permessi di soggiorno perennemente in scadenza, alla ricattabilità sui luoghi di lavoro, allo sfruttamento salariale, all’esclusione da opportunità lavorative.
La discriminazione per i più giovani inoltre non si ferma al piano simbolico ma si concretizza nell’impossibilità di accedere a diritti formali e opportunità di crescita e di formazione riservati ai loro compagni e amici con cittadinanza italiana: tirocini, esperienze di lavoro o studio all’estero, gite scolastiche, concorsi pubblici.
In dettaglio
Portare da 10 a 5 gli anni di residenza richiesti e lasciando invariate le procedure e i tempi di lavorazione delle pratiche farà sì che i tempi reali di ottenimento della cittadinanza passino dai 14 anni di oggi, (si può aspettare fino a 4 anni prima di chiudere l’iter e prestare giuramento presso il proprio Comune di residenza), a 9.
L’approvazione di questo referendum aprirebbe, inoltre, la strada alla riforma vera e propria su cui il PD ha presentato una proposta di legge (PDL Bakkali) che contempla una revisione organica della materia a partire dall’introduzione dello ius soli.
È l’occasione, infine, di rendere visibili, nella narrazione pubblica, i protagonisti di questa legge, i nuovi e le nuove italiane, figli e figlie d’Italia, mostrando plasticamente come sia – già oggi – composta la società italiana. Sarà un Sì che risponde anche alla domanda di partecipazione e inclusione di una parte importante e numerosa della popolazione, in particolare giovanile.
I protagonisti di questo referendum non hanno il diritto di voto, perché considerati stranieri, quindi l’8 e il 9 giugno esercita il tuo diritto di voto anche per loro, per un’Italia plurale, democratica e più giusta per tutti e tutte.