Terzi luoghi: spazi ibridi per una nuova cittadinanza.

Marina Izzo

di Marina Izzo

In un tempo in cui la società si frammenta, le città isolano le persone e la fiducia nelle istituzioni vacilla, sta nascendo una risposta concreta e innovativa alla crisi del tessuto comunitario: i tiers lieux (terzi luoghi), secondo la dizione francese, o spazi collaborativi a orientamento sociale, così come sono definiti, a livello accademico, in Italia.

Il concetto di third place (luogo terzo) è stato elaborato, alla fine degli anni Ottanta. dal sociologo statunitense Ray Oldenburg, che li definisce come spazi informali di incontro – diversi dalla casa (primo luogo) e dal lavoro (secondo luogo) – capaci di facilitare socialità, dialogo e coesione, nel quadro di riferimento della crisi di socializzazione riscontrata nei sobborghi americani, aree organizzate prevalentemente sotto forma di quartieri monofunzionali, pensati esclusivamente per l’uso dell’automobile. Al contrario, secondo Oldenburg, i third places sono ambienti accessibili, inclusivi e aperti, dove le persone possono ritrovarsi e costruire relazioni, al di fuori delle logiche commerciali o istituzionali tradizionali: pub, piazze, librerie indipendenti.

Negli anni 2000 questo concetto è stato ripreso in Europa (e, più specificamente, in Francia) nell’ambito di un dibattito più ampio sull’uso di spazi alternativi per la produzione di cultura, la diffusione di servizi sociali e lo sviluppo di modelli economici alternativi. Immediatamente dopo la crisi finanziaria del 2008, questi spazi, ibridi, multifunzionali, orientati alla partecipazione civica, alla cultura, al lavoro collaborativo e alla promozione di diverse transizioni (ecologica, digitale, professionale, ecc), cominciano a proliferare in tutta la Francia.

Il loro ruolo di attori di cambiamento sociale emerge con forza durante la pandemia: dai loro laboratori artigiani nascono circa 5 milioni di mascherine; pasti caldi, prodotti nelle loro cucine comunitarie, raggiungono le case di chi è non può permettersi di acquistarli sulle tradizionali piattaforme di food delivery. A quel punto, la politica francese non può più voltarsi dall’altra parte: queste realtà si affermano come dispositivi chiave, capaci non solo di ricucire il tessuto comunitario, ma anche di dare forma concreta alle politiche territoriali. I tiers lieux infatti svolgono funzioni che, un tempo, erano appannaggio esclusivo delle istituzioni pubbliche: ospitano servizi educativi, culturali, sociali, e favoriscono la crescita di economie locali, basate sulla collaborazione e sulla sostenibilità.

Consapevole di questo potenziale, lo Stato francese ha avviato un importante percorso di riconoscimento e sostegno in favore di queste realtà. Nel 2021, il governo ha annunciato un investimento di 130 milioni di euro a supporto dei tiers lieux, parte dei quali provenienti dal piano nazionale di rilancio France Relance (il corrispettivo del nostro PNRR). Nel 2022 nasce la Fondation France Tiers Lieux, ente di interesse pubblico, che unisce Stato e federazioni di terzi luoghi, con l’obiettivo di accompagnarne la crescita e valorizzarne il ruolo nei territori.

Anche a livello europeo, il valore di questi spazi inizia a essere riconosciuto: la Commissione UE li ha inclusi nel Transition Pathway on Proximity and Social Economy, documento che li identifica come vettori di transizione: ecologica, digitale e sociale.

E in Italia? Anche qui, esperienze dense e vitali di terzi luoghi (chiamati, a livello accademico, spazi collaborativi a orientamento sociale), stanno tessendo nuovi fili nel nostro tessuto comunitario: si tratta di iniziative nate dal basso, animate da associazioni, cooperative, gruppi informali, ecc. Tuttavia, manca ancora una politica pubblica strutturata, che ne accompagni lo sviluppo e ne riconosca il valore sistemico.

Eppure, oggi più che mai, è urgente riconoscere questa nuova modalità di gestione degli spazi come un elemento di innovazione sociale e di utilità pubblica, di tutela e presa in carico dei beni comuni (materiali e immateriali). Per questo è fondamentale promuovere reti territoriali tra enti locali, settore privato e terzi luoghi, per una governance condivisa dei beni comuni urbani, magari integrando queste esperienze nel disegno delle politiche di coesione, rigenerazione urbana e transizione ecologica. I terzi luoghi ci pongono davanti a una sfida e a un’opportunità: immaginare nuove forme di abitare, di lavorare, ma anche di partecipare alla vita pubblica. In un momento storico attraversato da grandi trasformazioni – ecologiche, digitali, sociali – abbiamo bisogno di spazi che sappiano tenere insieme persone, idee e territori. Investire nei terzi luoghi significa investire nella democrazia, nella prossimità, nella cura delle comunità. Non è solo una questione urbanistica o culturale: è una scelta politica, profonda, ma quanto mai necessaria.

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