di Stefano Vaccari, pubblicato su L’Unità del 4 novembre 2025
Una risoluzione pasticciata e meno vincolante rispetto alle precedenti è quella adottata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu il 31 ottobre scorso sulla decennale questione del popolo Saharawi cacciato nel 1975 dai propri territori dal regime marocchino ed ora costretto a vivere in esilio in campi profughi in Algeria, vicino a Tindouf oppure, per chi è rimasto, a subire angherie e soprusi dagli occupanti del Sahara Occidentale.
Non che nei campi profughi si viva meglio. Ci sono gravi problemi di alimentazione, scarsa in diversi periodi dell’anno nonostante gli aiuti internazionali dell’UNHCR del PAM e delle altre organizzazioni umanitarie. Ed ora sono sopraggiunti rilievi sanitari davvero preoccupanti.
Sulla conclusione ONU ha pesato l’opinione degli Stati Uniti di Trump che, come è avvenuto a Gaza e come sta avvenendo in Ucraina, condiziona qualsiasi soluzione pacifica nel rispetto del Diritto internazionale, ai risvolti e agli interessi dei potentati economici. E cosi sta facendo pure l’Unione Europea che ha rinnovato quasi sotto traccia, l’accordo commerciale con il Marocco per lo sfruttamento delle risorse naturali dei territori occupati, dopo che il precedente in scadenza il 30 settembre 2025 era stato giudicato inammissibile dalla Corte di giustizia europea. Il tutto nel disinteresse e con le ambiguità “interessate” dell’Occidente, per non arrivare alla conclusione più logica quella dello svolgimento di un referendum sull’autodeterminazione che l’Onu aveva ratificato e che la Spagna aveva avallato nel 1974.
Non se n’e fatto nulla in questi 50 anni ormai per l’opposizione reale del Marocco che ora è riuscito a convincere pure la Spagna ricattandola e minacciandola di fare entrare immigrati dallo stretto di Gibilterra. Per non parlare della violazione del cessate il fuoco nel 2023 con la ripresa dell’intervento militare che si trascina fino ai giorni nostri.
Ora dall’Onu però arriva una risoluzione che apre spiragli interpretativi non certamente accettabili per il popolo Saharawi e per il Fronte Polisario che lo rappresenta.
La risoluzione Onu 2795 infatti pur rinnovando il mandato della Missione fino al 31 ottobre del 2026 per una “soluzione politica giusta, duratura e reciprocamente accettabile” introduce elementi di flessibilità sul percorso visto che nel testo si introducono riferimenti alle “proposte realistiche e di compromesso” delegittimando l’autodeterminazione quale premessa indispensabile per un vero percorso di pacificazione.
Un errore mettere sullo stesso piano autonomia e autodeterminazione, spostando il baricentro giuridico dalla risoluzione 1514, che riconosce il diritto all’indipendenza. Si preferisce dunque una una formula politica ambigua che per come è scritta diventa un punto politico dirimente, che nega il diritto internazionale già sancito da diverse risoluzioni.
Il popolo Saharawi è rappresentato dal Fronte Polisario che porta avanti una battaglia pluridecennale in modo non violento, pacifico e usando le armi del dialogo e della diplomazia, per giungere ad affermare dignità e diritti, ora negati, anche attraverso il referendum di autodeterminazione.
La comunità internazionale non è riuscita ad intervenire concretamente, anche perché in troppi hanno guardato altrove e perché si registrano anche “cambi di casacca” soprattutto di alcuni Paesi europei come la Spagna, che hanno segnato gli atteggiamenti del mondo occidentale.
L’appiglio più sicuro era quello dell’Onu ma ora anche da quel versante si evidenziano cedimenti che io stesso ho potuto valutare recandomi a New York in una audizione davanti alla 4 Commissione per la decolonizzazione.
Ora l’Onu invita le parti a negoziare “senza precondizioni” e a “considerare tutte le proposte costruttive” partendo dall’assunto che l’obiettivo è la ripresa dei colloqui e non certo la base giuridica su cui questi colloqui si fondano.
Senza dimenticare che nella risoluzione è sparita la menzione di “territorio non autonomo sotto occupazione” come è stato fatto nelle precedenti Risoluzioni. Un indebolimento della missione Onu e la trasformazione della drammatica vicenda in un caso “politico” a tutto vantaggio del regime marocchino che per ragioni commerciali può contare su alleati solidi nel mondo occidentale diversamente da quelli di un popolo costretto all’esilio.
La crisi di fiducia verso l’ONU, accumulata nel tempo e accelerata da Trump, rischia oggi di paralizzare il processo politico in piedi dal 1991 e di spingere il POLISARIO verso una strategia di pressione diplomatica e mobilitazione popolare come già si è visto nei campi profughi in questi giorni. La preoccupazione per la stabilità del Maghreb e per la necessità di cooperazione regionale è sicuramente l’altra gamba che ha fatto muovere l’ONU verso una soluzione diplomatica nei fatti unilaterale e opportunistica che rischia, quella si, di mettere a rischio la pace e la sicurezza dell’intera regione.
Serve dunque una reazione democratica.
Per questo chiediamo che il governo italiano si faccia interprete in Europa della situazione di stallo che ora rischia di occupare stabilmente la scena e di spingere l’Ue ad assumere una forte iniziativa verso l’Onu e verso il Marocco.
Lo chiediamo da tempo anche attraverso una mozione parlamentare che abbiamo depositato in Parlamento e firmata da esponenti dei gruppi di maggioranza e di opposizione.
Chiediamo al ministro Tajani di farsi carico di questa necessità non più rinviabile.
Se non si cambierà strada non avverrà nulla di utile né per il popolo Saharawi né per il Magreb né per l’ONU.
Stefano Vaccari
Coordinatore Intergruppo Parlamentare di amicizia con il popolo Saharawi
Segretario di Presidenza della Camera