IL DIFFICILE RAPPORTO DI MELONI CON LA DEMOCRAZIA

Daniele Borioli

di Daniele Borioli

L’attentato criminale che ha ucciso Charlie Kirk, attivista dell’estrema destra trumpiana, avvenuto negli stessi giorni in cui abbiamo assistito all’impennata della conflittualità armata globale, insieme agli altri recenti episodi di criminalità politica verificatisi negli Stati Uniti, ultimo l’altrettanto grave assassinio della parlamentare democratica del Minnesota, Melissa Hortman e del marito, avrebbero potuto e dovuto fornire a Giorgia Meloni l’occasione per qualificare in modo nuovo il proprio ruolo istituzionale. Di distaccarsi dalla soggezione subalterna verso Donald Trump: prima di tutto dal modello di scontro politico che il Presidente USA interpreta, in un Paese nel quale la diffusione e l’uso privato delle armi produce molteplici tragedie, sia nella sfera privata sia in quella pubblica; e in secondo luogo dall’attitudine al vittimismo offensivo che, sin dai primi passi, contraddistingue la sua presidenza, incline a considerare e qualificare le opposizioni come nemiche della sua persona e, attraverso di essa, non solo e non tanto della sua forza politica e delle forze alleate, ma dello stesso interesse nazionale. Un atteggiamento abnorme e rivelatore, sul quale ritornerò.

Tornando ai nostri giorni. Da un lato, le incursioni dei droni russi in Polonia e il clamoroso sbeffeggio che Putin rivolge a Trump e agli alleati occidentali, segnano anche, piaccia o meno a Meloni, il fallimento di un’impostazione di politica internazionale, che, tra il “tappeto rosso” di Anchorage e il successivo vertice di Washington, si era voluto ricondurre a una peculiare e “vincente” ispirazione proveniente direttamente da Palazzo Chigi. Su questo punto avevano scommesso e molto insistito, fino allo sfinimento, gli organi di informazione italiani più vicini al centrodestra, oltre all’esercito di officianti seriali del nuovo culto meloniano, che la premier ogni giorno distribuisce a pappagallare sulle diverse reti tivù. Senonché, i fatti hanno demolito la propaganda e, insieme ad essa, la credibilità dei propagandisti e della propagandata.

Dall’altro lato, la spietata pulizia etnica messa in atto da Israele contro Gaza e il popolo palestinese, attraverso massacri e deportazioni di civili, mette in luce i gravi tentennamenti dell’italia, unico tra i grandi Paesi dell’Unione insieme alla Germania, sul tema cruciale del riconoscimento dello Stato di Palestina. Una posizione che è difficile spiegare, se non: in primo luogo, facendo ricorso al peculiare servilismo di Meloni nei confronti di Trump (chiaramente schierato con Netanyahu); in seconda istanza al “senso di colpa” storico, condiviso in qualche misura con i tedeschi, per le responsabilità dirette che il regime fascista, alleato con la Germania, ebbe nello svolgersi della Shoah e per il lungo antisemitismo annidato nel seno della destra storica italiana.

Eppure, un’opportunità di scartare dalla deriva le è stata fornita dalla saggia e determinata posizione assunta dal Presidente della Repubblica: che a proposito dei gravi conflitti in corso ha apertamente evocato il “rischio 2014”, vale la possibilità di ritrovarsi, per scivolamenti progressivi e non adeguatamente valutati nella loro gravità, di fronte all’esplosione di un conflitto globale. Un assist formidabile, che un capo di Governo all’altezza del ruolo, e della situazione contingente e drammatica delle relazioni internazionali, avrebbe saputo cogliere, per imprimere una svolta, non solo alle sue politiche ma anche alla postura nei confronti delle opposizioni. Almeno sul fronte degli affari esteri. Meloni, quell’assist, come accade ai brocchi nel basket, non l’ha neppure visto (o forse l’ha visto e volutamente lasciato perdere), e ha scelto di proseguire sulla strada consueta, di relazione unidirezionale e subalterna verso la Casa Bianca, di demonizzazione delle minoranze democratiche e di autoisolamento da una parte significative delle nazioni europee.

Il risultato è avvilente per l’Italia, che nei confronti del resto del mondo espone le due principali cariche istituzionali, Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio, su due sponde opposte e inconciliabili. Il primo impegnato a fare appello con ostinata fermezza all’unità della nazione e dell’Europa di fronte al fronte di violenta turbolenza sempre più vicino ai nostri confini e ai nostri cieli. La seconda, ostinatamente orientata a replicare la macchietta del capo fazione, indicando nelle opposizioni non solo il nemico della pace interna, ma anche i responsabili dell’inquinamento dei pozzi che avvelena le relazioni internazionali: accostando nei suoi scellerati commenti all’omicidio di Kirk, i conflitti politici e sociali tipici di una democrazia viva come ancora è l’Italia (invano fatti bersaglio dei “decreti sicurezza”), con l’evento tragico di un assassinio criminale, scaturito in tuttaltro contesto, sul quale, peraltro, ancora sono in corso approfondimenti.

Come qualificare un tale atteggiamento, se non con il concetto di sciacallaggio? Come rassegnarsi all’idea che, in questo momento così difficile per l’Italia, l’Europa e il mondo intero, il nostro destino sia in mano a una personalità così incapace di farsi interprete, almeno sulle complesse questioni internazionali, del bisogno di unità nell’interesse della nazione? Di fronte al rapido precipitare di eventi angoscianti, come i droni russi sui cieli di Polonia, l’avanzata di terra dell’esercito israeliano su Gaza, l’omicidio di Kirk avrebbe dovuto ispirare un cambio di rotta: un emancipazione di Meloni dal giogo reazionario e istigatore di Trump e la richiesta alle opposizioni di aprire un dialogo costruttivo, almeno allo scopo di ricondurre a un possibile minimo denominatore comune le posizioni italiane in Europa.

Ciò a cui abbiamo assistito, viceversa, è stato uno show patetico e deprimente, recitato con una consistente dose di macabro e cattivo gusto sul cadavere di Charlie Kirk, utilizzato con spregiudicatezza quale corpo d’accusa verso le minoranze democratiche italiane, apostrofate con una frase orrida ma di chiarissimo significato: “non ci lasceremo intimidire”. Come se la democrazia in Italia fosse minacciata: non già dai provvedimenti liberticidi del Governo in carica; non già dai disegni di due riforme costituzionali che si prefiggono, l’una  di scardinare la democrazia parlamentare e il ruolo del Presidente della Repubblica tramite l’elezione diretta del premier, l’altra di intaccare l’indipendenza e l’autonomia della magistratura; ma dall’esistenza e dal lavoro delle opposizioni.

Eppure, alle opposizioni, almeno a una gran parte di esse, quelle che hanno radice nella Resistenza e nel lavoro svolto dai Costituenti, all’indomani della guerra mondiale in cui l’Italia fu trascinata dal fascismo, Meloni dovrebbe gratitudine. Furono quelle forze, ad aprire il Paese verso forme più avanzate di democrazia, con il voto alle donne e con la loro possibilità di accedere, seppure attraverso un percorso lungo e complicato, alle cariche di vertice della Repubblica. E furono quelle forze che difesero la democrazia negli anni difficili del terrorismo. Di tutti i terrorismi: quello delle trame eversive legate ai servizi segreti deviati o all’arcipelago del terrorismo nero; quello della tragica stagione delle brigate rosse, che ebbero tra i loro più intransigenti oppositori gli esponenti di quella parte di mondo politico  cui oggi, la premier, dal basso della fiamma tricolore che ancora arde nel simbolo di Fratelli d’Italia, intima di “non intimidire”.

Naturalmente, saranno quelle forze, le nostre forze a “non farsi intimidire”, da un progetto che declina il disegno di mutare la natura della nostra convivenza democratica e delle sue regole, per deformarla in scia al modello pessimo modello offerto oggi dal Capo della maggiore democrazia (fino a quando?) del pianeta. Organizzare la Resistenza a questo disegno, del quale sarebbe irresponsabile sottovalutare la micidiale insidiosità, è un compito cui il Partito Democratico ha il dovere di impegnarsi con tutte le energie, costruendo anche su questo punto essenziale le basi per un’alternativa in grado di sconfiggere le destre in Italia e in Europa.

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