di Stefano Vaccari
È morto dopo due giorni di agonia. Danilo Rihai, 17 anni di origini tunisine, aveva tentato il suicidio nella sua cella del carcere minorile di Treviso subito dopo l’arresto per una serie di reati, anche di grave entità, commessi in più occasioni. Avrebbe dovuto scontare le pene inflitte dai Tribunali. Chi sbaglia deve giustamente pagare ma c’è un però che quasi mai assume quel valore che è ben definito nella Costituzione italiana, all’articolo 27, allorché si stabilisce che la pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato.
Questo principio, noto come principio rieducativo della pena, implica che il carcere non debba essere solo un luogo di afflizione, ma anche di recupero e reinserimento sociale per la persona detenuta. L’ordinamento penitenziario, nel rispetto della Costituzione, deve quindi prevedere misure e attività volte a favorire il reinserimento sociale del detenuto, garantendo al contempo la sicurezza e l’ordine all’interno degli istituti penitenziari.
In questi giorni si fa un gran parlare delle lettere pubbliche che Gianni Alemanno, ex parlamentare e già ministro e sindaco di Roma, scrive dal carcere dove è detenuto per una condanna definitiva per traffico d’influenze, mettendo in rilievo le condizioni critiche di vita all’interno degli istituti penitenziari. Report dettagliati che segnalano come ai detenuti, contrariamente a quanto prevede la Costituzione, vengono calpestati quotidianamente diritti e dignità come se appartenesse allo Stato avere sentimenti vendicativi verso chi ha commesso reati anche di grave portata.
Naturalmente questo vale anche per Gianni Alemanno sul quale non sta a noi esprimere giudizi sulle ragioni della sua detenzione. Sono già intervenuti i tribunali e quelle decisioni vanno rispettate. Semmai può apparire un paradosso che una denuncia così importante venga fatta anche da un uomo politico di destra, che continua ad essere di destra nel mentre quella stessa destra, al governo del Paese, non solo chiude gli occhi su una problematica così importante ma aggrava la situazione con provvedimenti che vanno in tutt’altra direzione come i decreti antirave, Caivano e Sicurezza. Logiche “manettare” e repressive fine a se stesse che producono nuovi reati e basso giustizialismo senza però affrontare i conflitti sociali nei quali l’illegalità trova linfa vitale e proseliti.
Sia ben chiaro non stiamo difendendo chi commette crimini ma segnaliamo come e perché quei crimini trovano protagonisti e manovalanza. Dal degrado delle periferie al traffico delle droghe, dal gioco d’azzardo alla prostituzione, dalla povertà all’assenza di certezze lavorative. E poi l’assenza di politiche di integrazione e di reinserimento nella società dopo aver scontato una pena. E le notizie che arrivano dalle carceri aggravano la situazione con il ministro Nordio intento più a punire i giudici che a prevenire i reati.
Il report semestrale dell’associazione Antigone è spietato. Al 30 giugno 2025 le persone detenute erano 62.728, in aumento di 1.248 unità rispetto all’anno precedente. A fronte di una capienza regolamentare di 51.276 posti, e con oltre 4.500 letti indisponibili, il tasso di affollamento reale si attesta al 134,3%. In ben 62 istituti il sovraffollamento supera il 150%, e in 8 casi addirittura il 190% – come a San Vittore, Foggia, Lodi e Roma Regina Coeli. Nel 35,3% degli istituti visitati da esponenti di Antigone c’erano celle in cui non erano garantiti 3mq a testa di spazio calpestabile. Il tanto decantato piano di edilizia penitenziaria prevede 7.000 nuovi posti entro fine anno, ma nell’ultimo anno ne sono stati realizzati appena 42. Di contro, i posti effettivi disponibili sono diminuiti di 394.
Il nostro modello di giustizia minorile, un tempo un esempio in Europa, ha perso la sua vocazione educativa per diventare sempre più punitivo. I problemi principali sollevati sempre secondo l’associazione Antigone sono: un sovraffollamento senza precedenti; l’apertura di sezioni minorili all’interno di carceri per adulti; l’utilizzo di psicofarmaci e la permanenza dei giovani in cella per troppe ore al giorno.
Nel frattempo si tagliano i fondi per fare fronte alle numerose emergenze riguardanti 190 strutture carcerarie in tutto il Paese. Il governo per il 2025 ha stanziato appena 300 milioni. E poi scorrendo l’elenco si scoprono che alcune case circondariali sono rimaste fuori dai possibili interventi. Tra queste anche il Sant’Anna di Modena.
Una scelta sbagliata e pericolosa che contraddice la stessa premessa del Piano che, redatto dal Commissario straordinario sulla base dei documenti che, a fine 2024, sanciscono un sovraffollamento pari a 10.500 persone detenute, sottolinea con grande chiarezza come il sovraffollamento degli istituti di detenzione costituisce un fenomeno che contraddistingue il sistema carcerario con carattere di endemicità e non è stato bilanciato da un corrispondente adeguamento delle strutture, con conseguente impatto sulle condizioni di vita dei detenuti in termini di scostamento dagli standard sanciti dalla Costituzione, da alcuni trattati internazionali e dalle norme di rango primario.
Il Piano dimentica Modena, nonostante i numeri di sovraffollamento denunciati più volte anche dalla Polizia Penitenziaria, che secondo le ultime rilevazioni segnalavano 586 persone detenute, mentre la capienza massima prevista è di 372. Pertanto l’amara conclusione è che nel breve-medio periodo la condizione sarà la stessa, se non peggiore, sia per le persone recluse che per il personale impiegato a vario titolo, con conseguenze che non possono che incrementare gli eventi critici legati all’espressione del disagio detentivo con tutto ciò che di negativo questo porta con sé.
E poi i morti in carcere. A pubblicare i dati è il Garante nazionale che lancia un motivato allarme: 148 tra suicidi (48), morti per “cause naturali” (69), per cause da accertare (30) e per cause accidentali (1).
A fronte di tutto questo il ministero della Giustizia si affretta a minimizzare, parla solo di dato sconfortante anziché affrontare con adeguate riforme la crisi cronica del sistema penitenziario.
Solo così si potrà uscire dalla cronaca nera e costruire un Paese più civile.