di Toni Mira
La Corte di giustizia europea boccia la Meloni su Albania e Paesi sicuri. E la destra insorge, dimostrando il proprio scarso europeismo. Ma anche un’ignoranza di un principio fondamentale come la prevalenza delle norme Ue su quelle nazionali. È una vera e propria lezione di diritto europeo e non solo quella dei giudici di Lussemburgo. E dà ragione ai tanti tribunali che avevano annullato il trasferimento in Albania di alcuni migranti soccorsi in mare e provenienti da Paesi ritenuti “sicuri”. Decisioni che avevano provocato durissimi attacchi da parte di governo e maggioranza. Ebbene la Corte europea stabilisce in primo luogo che
la designazione di un paese terzo come “paese di origine sicuro” deve poter essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo, cioè i giudici hanno il potere di intervenire. La “lezione” della Corte è precisa e puntigliosa. Sottolinea che il cittadino di un paese terzo può vedere respinta la sua domanda di protezione internazionale “in esito a una procedura accelerata di frontiera qualora il suo Paese di origine sia stato designato come “sicuro” ad opera di uno Stato membro”. Ma attenzione, avverte la Corte, “tale designazione può essere effettuata mediante un atto legislativo (e questo ha fatto nel 2024 l’attuale governo italiano, ndr), ma a condizione che quest’ultimo possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo vertente sul rispetto dei criteri sostanziali stabiliti dal diritto dell’Unione”. E lo fa citando direttive e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Inoltre, aggiungono i giudici europei, le fonti di informazione su cui si fonda la designazione di “Paese sicuro” “devono essere accessibili sia al migrante richiedente che al giudice nazionale”. E questo perché “uno Stato membro non può includere un Paese nell’elenco dei Paesi di origine sicuri qualora esso non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione”. La Corte interviene così sulla cosiddetta “procedura accelerata” che in base alla direttiva 2013/32/UE 2, può essere applicata presso la frontiera se le domande provengano da cittadini di Paesi terzi che si ritiene offrano una protezione sufficiente. Tra quelli designati dall’Italia vi è il Bangladesh. Due cittadini di quel Paese, soccorsi in mare dalle autorità italiane, e condotti nel centro di permanenza in Albania, hanno presentato una domanda di protezione internazionale. Ma la loro richiesta è stata respinta in quanto infondata, con la motivazione che il loro Paese d’origine è considerato “sicuro”. I due bengalesi hanno impugnato la decisione di rigetto dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, che si è rivolto alla Corte di giustizia per chiarire l’applicazione del concetto di paese di origine sicuro e gli obblighi degli Stati membri in materia di controllo giurisdizionale effettivo. Il particolare il Tribunale di Roma sostiene che, contrariamente al regime precedente, l’atto legislativo dell’ottobre 2024 non precisa le fonti di informazione sulle quali il legislatore italiano si è basato per valutare la sicurezza del Paese. Pertanto, sia il richiedente sia l’autorità giudiziaria “si troverebbero privati della possibilità, rispettivamente, di contestare e controllare la legittimità di siffatta presunzione di sicurezza, esaminando in particolare la provenienza, l’autorità, l’affidabilità, la pertinenza, l’attualità e l’esaustività di tali fonti”. La Corte Ue dà ragione ai giudici romani sia sul loro potere a intervenire, sia sulle fonti di informazione su cui si fonda la designazione. Questo per consentire “al richiedente di difendere efficacemente i suoi diritti e al giudice nazionale di esercitare pienamente il proprio sindacato giurisdizionale”. La Corte ricorda che il 12 giugno 2026 entrerà in vigore un nuovo Regolamento ma, precisa anche qui con una “lezione”, “fino all’entrata in vigore di un nuovo Regolamento destinato a sostituire la Direttiva attualmente applicabile, uno Stato membro non può designare come Paese di origine “sicuro” un Paese terzo che non soddisfi, per talune categorie di persone, le condizioni sostanziali di siffatta designazione”. Parole chiare, norme alla mano, senza alcun riferimento né politico né ideologico. Di tutt’altro tono la reazione della maggioranza di destra. A partire dal Governo, anzi dalla Presidenza del Consiglio. Dopo poco più di un’ora dalla notizia da Palazzo Chigi esce una nota durissima. “Ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche”. E accusa la decisione di “indebolire le politiche di contrasto all’immigrazione illegale di massa e di difesa dei confini nazionali”. Alcuni esponenti della maggioranza arrivano a parlare
di “umiliazione degli italiani” da parte di un’istituzione “dannosa”. Mentre, come abbiamo scritto, la Corte si è pronunciata sull’aderenza delle leggi nazionali al diritto dell’Unione, dicendo “no” a “scorciatoie” in tema di diritti umani. Ma a destra c’è nervosismo e attivismo. Anche contro la Chiesa. In particolare contro monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Commissione Cei che si occupa dei migranti nonché presidente della Fondazione Migrantes, che a proposito della decisione della Corte aveva parlato di “ennesima sconfessione della politica migratoria del Governo”, dei centri in Albania come “uno spreco di risorse impressionante” mentre la Corte Ue “ormai non lascia margini ad altre, subdole manovre per allontanare il dramma di migranti in fuga dai nostri occhi e dalla nostra responsabilità costituzionale”. Durissima la replica della Meloni affidata al Corriere della sera.
‘”La politica migratoria del Governo non è subdola”. Perché ‘”subdolo, vocabolario alla mano, è chi maschera con altre apparenze intenti non lodevoli. Noi non mascheriamo l’intento di combattere le organizzazioni criminali o di far rispettare le leggi dello Stato italiano, obiettivi che consideriamo lodevoli. Subdoli sono ben altri comportamenti. Quindi respingo con fermezza le accuse di monsignor Perego e consiglio di avere maggiore prudenza nell’uso delle parole”. Ma i fatti raccontano altro. Di quasi 37mila migranti sbarcati quest’anno sulle nostre coste, oltre 3mila in più rispetto allo scorso anno, la cifra più alta da 8 anni, escluso il 2023. I migranti partono comunque, l’effetto deterrenza Albania non funziona, la Meloni corre in Tunisia e Turchia per chiedere (in cambio di cosa?) maggiore aiuto a governi sicuramente poco democratici per bloccare i flussi. E tratta anche col generale libico Haftar, sostenuto da Putin. Ma i migranti continuano a partire e i trafficanti a fare soldi. E si continua a morire, come i bambini morti tra Libia e Lampedusa, quattro piccoli “clandestini” e “invasori”.