Povertà minorile: un’emergenza strutturale che minaccia il nostro futuro

di Nicola Zingaretti, pubblicato su Avvenire di oggi 18 luglio 2025

I risultati della ricerca ISTAT uscita in questi giorni sui minori in Italia rischiano di passare inosservati.

Oggi in Italia oltre due milioni di minorenni vivono in condizioni economiche critiche. Il 26,7% degli under16 è a rischio di povertà o esclusione sociale, un dato che, pur in lieve miglioramento rispetto al 2021, resta estremamente preoccupante, soprattutto al Sud, dove la percentuale sale al 43,6%.

Dalla ricerca ISTAT emerge che il fattore che più protegge dalle fragilità è l’istruzione dei genitori: tra i minori con genitori che possiedono al massimo la licenza di scuola media, la percentuale a rischio raggiunge il 51,8%, ma si riduce drasticamente al 10,3% quando almeno uno dei due genitori è laureato.

Così, la povertà minorile rischia di consolidarsi da fenomeno presente a persistente. Diventa un fattore ereditario che rischia di ingabbiare bambine e bambini in un vortice senza fine. Non a caso, il 34% degli adulti cresciuti in famiglie svantaggiate si trova oggi in condizioni di povertà, contro il 14,4% di chi proviene da contesti benestanti.

Questo vortice sostiene una regressione sociale: diritti negati, disuguaglianze crescenti, una società polarizzata tra pochi privilegiati e masse ai margini. La questione, così, da economica, diventa anche democratica. Ignorare queste diseguaglianze significherebbe far perdere qualità e legittimità alla nostra democrazia.

Emerge cristallina la necessità di indicare una direzione diversa moltiplicando gli investimenti nel settore dell’educazione: ad esempio, escludere dal Patto di Stabilità gli investimenti in asili nido, sostegno alla genitorialità, conciliazione dei tempi di vita e lavoro, istruzione e servizi di base. La cosiddetta golden rule sociale non è un’utopia, ma una misura necessaria e urgente.

Nonostante le critiche, il Reddito di cittadinanza ha evitato nel 2020 che un milione di persone scivolassero nella povertà assoluta. Oggi, tra aumento dei prezzi, caro carburanti, diminuzione dei salari reali, sono proprio le famiglie più fragili a pagare il prezzo più alto. La crisi innescata dalla pandemia e aggravata dalla guerra in Ucraina è, a tutti gli effetti, una crisi dei poveri.

Le politiche pubbliche devono intervenire fin dalla primissima infanzia. Non basta agire al momento delle scelte post-diploma: bisogna sostenere i bambini e le famiglie sin dai primi anni, investendo in nutrizione, salute, servizi educativi e ambienti che promuovano lo sviluppo del capitale umano, che si accumula e sostiene la crescita economica.

Il premio Nobel per l’Economia del 2000, James Heckman, ha evidenziato con chiarezza come gli investimenti più efficaci per accrescere il capitale umano si concentrino nella primissima infanzia, soprattutto per i bambini che crescono in contesti familiari o territoriali svantaggiati. In altre parole, se un Paese vuole realmente migliorare le prospettive future della propria popolazione, deve puntare con decisione a sostenere lo sviluppo dei bambini fin dai loro primi anni di vita.

In questo contesto, per avere una fotografia chiara del nostro Paese, basti considerare l’accesso ai servizi educativi: il 57,8% dei bambini tra 0 e 2 anni non frequenta nidi o altri servizi per l’infanzia, percentuale che tocca il 64,6% nel Sud.

Il PNRR, che avevamo costruito nei governi Conte II e Draghi, andava in questa direzione. Tuttavia, con la revisione del 2023 voluta dal governo Meloni, i nuovi posti previsti negli asili nido sono stati ridotti da 264.480 a 150.480. Inoltre, manca ancora una strategia chiara per supportare concretamente i comuni nel trovare spesa corrente per la gestione di questi servizi.

Il quadro di forte disinteresse dell’attuale governo verso questo tema è reso ancora più grave dal tentativo, contenuto nella legge di bilancio 2025 del Governo Meloni, di non sostenere il “Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile”, istituito nel 2016 grazie al contributo delle fondazioni bancarie tramite credito d’imposta. Solo l’intervento bipartisan del Parlamento ha evitato la cancellazione del fondo, prorogandolo nel Milleproroghe fino al 2027, con un contributo minimo di 3 milioni di euro l’anno. Una misura salvata in extremis, ma che meriterebbe ben altri investimenti, visto che ha permesso di aiutare oltre mezzo milione di minori in otto anni.

Anche a livello europeo la situazione è critica: oggi un bambino su cinque vive in povertà. Da anni i Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo portano avanti la proposta della European Child Guarantee, chiedendo un bilancio dedicato di almeno 20 miliardi di euro. A marzo 2025, però, le destre hanno scelto di affossare questo impegno.

In questo contesto, è fondamentale difendere il modello sociale europeo. Per questo come gruppo dei Socialisti e Democratici abbiamo ottenuto, lo scorso 9 luglio, un importante impegno da parte di Ursula Von Der Leyen: la tutela del Fondo Sociale Europeo, l’unico fondo UE interamente dedicato alle priorità sociali, tra cui la lotta alla povertà minorile. La Commissione Europea aveva tentato di assorbirlo in altri fondi, privandolo di autonomia.

Insomma occorre mettere al centro un’agenda giovanile che coincide con il futuro stesso della democrazia: un vero cambio di passo e di paradigma nel nostro modello di sviluppo. Perché non può esserci libertà né crescita senza giustizia sociale.