Una nuova legge per il riconoscimento giuridico dell’Istituto “Ferruccio Parri” (già Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia)

di Daniele Borioli

Lo scorso 15 aprile, in prossimità dell’80° Anniversario della Liberazione, si è svolto al Senato dalla Repubblica, un convegno dedicato al Disegno di Legge per il “Riconoscimento giuridico dell’Istituto nazionale ‘Ferruccio Parri’. Rete degli istituti della storia della Resistenza e dell’età contemporanea”, presentato a prima firma della Vicepresidente dell’Assemblea di Palazzo Madama, Anna Rossomando, per il quale il Senatore Francesco Verducci è stato nominato relatore. La discussione è stata presieduta e coordinata dal Senatore Paolo Corsini, da alcuni mesi eletto alla Presidenza del medesimo Istituto.

Oltre ai molti spunti di interessante rilievo, politico, giuridico e storiografico, l’occasione è stata importante al fine di riprendere le fila e rilanciare un processo avviato nella passata legislatura e che pare assumere oggi una particolare cogenza, anche alla luce delle molte questioni riaperte e tornate al centro della discussione pubblica, sul tema della qualità della nostra democrazia e della sua capacità di tenuta di fronte alle sfide imposte dalla crescita del fronte destrorso in molti Paesi d’Europa e non solo.

Per gli approfondimenti di merito sul testo di legge, rimando alla lettura dei materiali pubblicati sulla scheda personale della Senatrice Anna Rossomando, facilmente recuperabile sul sito del Senato della Repubblica. Vorrei invece soffermarmi brevemente sulle vicende di una normativa che, seppure con una differente impostazione, ha già conosciuto dimora, per circa 43 anni nel quadro della legislazione italiana, dalla quale è stata, poi, frettolosamente elisa.

Infatti, con il Decreto legislativo n. 212 del 13 dicembre 2010, il Ministro per la semplificazione normativa, Roberto Calderoli, e il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, abrogarono la Legge n. 3 del 16 gennaio 1967, con la quale si era stabilito il “Riconoscimento giuridico dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione”. Presidente della Repubblica era, a quel tempo, Giuseppe Saragat; Presidente del Consiglio, Aldo Moro.

Sarebbe interessante scandagliare più a fondo gli atti parlamentari e le cronache politiche dell’epoca: quella dell’abrogazione, intendo. Per verificare quale traccia abbia lasciato nel dibattito pubblico quel passaggio, con il quale si cancellavano, nello stesso atto e allo stesso modo, piccole e specifiche norme in diversi casi meno che settoriali, insieme al profilo giuridico della più importante istituzione culturale preposta alla conservazione e alla valorizzazione della memoria storica legata alla Resistenza.

Istituzione di grandissimo rango storiografico, non solo nazionale: depositaria di una mole possente e crescente di fonti archivistiche, bibliografiche, iconografiche e cinematografiche; di un ricchissimo repertorio di fonti orali e audiovisive, costituenti un giacimento insostituibile di testimonianze sulle guerre del Novecento, sulla lotta di liberazione, sulla deportazione, sulla persecuzione degli ebrei e sulle altre politiche di discriminazione messe in atto dal regime fascista, sull’insurrezione nazionale, sulla ricostruzione democratica e repubblicana dell’Italia. E su molte altre tematiche, declinate in ragione delle vicende peculiari delle molte e differenti storie locali che hanno connotato l’Italia nel corso del “Secolo breve”.

Presieduto da molte insigni figure, tra le quali lo stesso Ferruccio Parri e il Presidente emerito della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, dalla sua istituzione l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (INSMLI, ora Istituto nazionale “Ferruccio Parri”) ha tessuto una rete che collega attualmente poco meno di 70 istituti provinciali e circa una ventina di enti collegati, sviluppato attività di ricerca e didattica, in collaborazione sia con diverse istituzioni universitarie sia con moltissime istituzioni culturali e scolastiche locali. Contribuendo non solo a sviluppare la conoscenza storica del ‘900 italiano, innovando le metodologie di ricerca e i paradigmi interpretativi, ma accumulando in questo lavoro un patrimonio materiale e immateriale che non può non essere considerato, a pieno titolo, “patrimonio nazionale”. Un patrimonio, appunto, di sicuro meritevole di uno specifico riconoscimento giuridico, fissato in legge.

Dicevo che sarebbe interessante andare più a fondo sul dibattito politico, se ci fu, che accompagnò una quindicina di anni fa il provvedimento di Roberto Calderoli, con il quale quel riconoscimento giuridico dell’INSMLI fu cancellato. Ho l’impressione, tuttavia, che non dovettero essere particolarmente alte le voci che si levarono a contrasto di quel passaggio. A testimonianza, forse, del clima a quel tempo così distante dall’allarme che oggi muove molta parte del mondo democratico a tornare a stringersi intorno ai valori ricevuti in dono dalla stagione in cui la Resistenza: liberò l’Italia, ne riscattò la dignità, ne fondò il carattere democratico e repubblicano, impregnò i valori sottesi all’edificio costituzionale.

Dall’anno d’approvazione della Legge (1967), collocabile nella stagione del primo centro-sinistra italiano, a quello dell’abrogazione (2010) in piena era “berlusconiana”, era passata un’epoca. Nonostante le insidie del populismo interpretato dal cavaliere di Arcore, si consideravano superate “le colonne d’Ercole” che avevano tenuto per decenni (sino alla caduta del “Muro”, alla fine della “Guerra fredda”) la democrazia italiana in una sorta di impasse: privata della possibilità di svilupparsi secondo le logiche dell’alternanza.

Il passaggio alla “seconda Repubblica”, il balzo repentino verso un sistema parzialmente maggioritario e le conseguenti prime prove di bipolarismo, connotate soprattutto verso il centro-sinistra dalla difficoltà di tenere salda la coesione delle coalizioni (Prodi 1996 e Prodi 2006), avevano indotto, tra il 2007 e il 2008, a compiere il salto verso il Partito Democratico e verso un sistema tendenzialmente bipartitico, molto evocante il modello “americano”.

Il fascino di quella sfida contagiò anche gli avversari, se è vero che alle elezioni politiche del 2008 i due principali partiti della destra italiana (Forza Italia e Alleanza Nazionale) si presentarono unite sotto il simbolo del “Popolo della libertà”, con un’unica lista. Durò poco, come sappiamo.

L’evocazione di quel passaggio serve però a indicare come, e parliamo di meno di vent’anni fa, la tensione delle maggiori forze politiche fosse rivolta in quel frangente a incrementare “l’efficienza e l’efficacia del modello democratico”, la sua “governabilità” e le regole della competizione, nella convinzione che i pilastri posti a presidio di valori quali la separazione e la reciproca autonomia dei poteri, l’indipendenza e la libertà dell’informazione (quest’ultima al netto del macroscopico e mai risolto conflitto d’interessi del polo televisivo Mediaset), o il primato della funzione parlamentare su quella esecutiva, fossero sufficientemente solidi. Se non addirittura, in taluni casi, persino troppo invadenti.

Cosa c’entra tutto questo con il riconoscimento giuridico dell’Istituto nazionale “Ferruccio Parri”? C’entra, moltissimo. Perché anche da quel primo decennio del nuovo secolo ad oggi è passata un’epoca. E, come in un brutto risveglio, l’avvento al potere di Giorgia Meloni e il balzo elettorale enorme del partito che ancora reca la “fiamma” alla radice del proprio simbolo; la collocazione, apertamente dichiarata, della Lega, o dissimulata, da Fratelli d’Italia, nel campo del “sovranismo”, dove trova ospitalità la sempre più consistente pattuglia di forze aperte a una declinazione autoritaria della democrazia; riporta d’urgenza all’apice dell’attualità la necessità di tornare a un lavoro non solo politico, ma anche culturale e formativo, sul paradigma che ha accompagnato l’Italia, attraverso la Resistenza, a quella democrazia che oggi, seppure ancora solida, appare circondata da non poche insidie.

Anche per questa ragione fondante, oltreché per tutte le molte questioni pratiche (risorse, sedi, personale, rapporti con le istituzioni nazionali), il Disegno di Legge in questione, a prima firma Rossomando, si colloca a uno snodo rilevante e attualissimo; e meriterebbe di essere posto al centro di una battaglia politica e parlamentare degna della sfida che il tempo presente ci pone di fronte.

Un tempo nel quale la risposta politica e la mobilitazione civile contro i rigurgiti neofascisti e, insieme e più ancora, contro i tentativi di forzare gli stessi interstizi presenti nel dettato costituzionale al fine di stravolgere la natura del nostro sistema democratico, rendono essenziale la possibilità di far fronte alla sfida in difesa della democrazia attingendo agli strumenti culturali di cui la rete degli Istituti storici associati al “Parri”, cui ora si aggiungono i luoghi e i musei collegati nella rete dei “Paesaggi della memoria” (tra i quali Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, l’Istituto Cervi, e diversi altre realtà distribuite in Italia) dispone con materiali in costante incremento e aggiornamento, fondamentali ora che poco alla volta i “testimoni del tempo”, di quel tempo, ci lasciano. E ci passano il compito di trasmettere ai più giovani la loro “lezione”.

La struttura reticolare del Istituto nazionale “Ferruccio Parri” fornisce a questo lavoro un atout pregiato, intercettando la multiforme lezione della Resistenza italiana, che fu certo fenomeno nazionale fondativo della democrazia italiana, ma che ebbe radicamento sociale, culturale e persino esistenziale, nelle molteplici realtà regionali e locali, che oggi consentono di collegare il tempo breve degli avvenimenti della guerra di liberazione, alla storia lunga dei contesti territoriali e comunitari nei quali le formazioni partigiane si insediarono.